di Edoardo Marcarini
Secondo la graduatoria stilata da E.F. Education First (organizzazione promotrice di viaggi all'estero finalizzati ad apprendere la lingua locale e, più in generale, di corsi di lingue straniere) l'Italia è al ventitreesimo posto, per conoscenza dell'inglese, tra i paesi sviluppati. Il livello è considerato, dalla suddetta, basso.
Capita spesso di imbarcarsi con ryanair e sentire annunci di hostess e stuart, di palese origine italiana, che annegano in un brodo di bergamasco, italiano e inglese, condito da "ehm", "mah" o "quindi". O di sentirsi dire da qualche autoctono, una volta atterrati, che la sorpresa più grande della sua giornata sia stata quella di trovare un italiano in grado di spiccicare due parole in croce e trascinarsi in un conversazione in inglese.
Ora, perché ci ostiniamo, sapendo ell'esistenza di questo problema (non da poco), ad ignorarlo e rimanere ignoranti?
Una motivazione è sicuramente la nostra abilità, universalmente nota, col linguaggio dei gesti. Un'altra può essere l'attaccamento eccessivo alla tradizione scolastica, per cui si preferisce studiare letteratura inglese (che per carità ha la sua importanza) anziché organizzare momenti di conversazione costruttivi e più utili all'apprendimento della lingua. Tuttavia,
in alcune nazioni, l'inglese lo parlano tranquillamente tutti, dal bimbo di dieci anni, al pensionato di ottantasei, è quindi difficile sostenere che sia la scuola la causa di questo sapere superiore.
L'Italia è uno sei pochi paesi in cui si doppiano i film. Nella stragrande maggioranza degli stati del resto del mondo ci si limita ad "allegare" al programma i sottotitoli in lingua locale. Potendo leggere le battute dei personaggi e contemporaneamente ascoltare le parole in inglese, il cervello è portato indirettamente (e con indirettamente intendo senza scuola o studio) ad assimilare la lingua, l'accento, i modi di dire, in maniera, evidentemente, più efficace. L'unico difetto di questa "pratica" è che si impara, più che l'inglese, l'americano.
Tornando invece al discorso scolastico, sono sempre più promossi gli esami di certificazione inglese (vedi Pet o First Certificate), ma il livello medio di chi esce dal liceo è basso. Il programma non è finalizzato all'apprendimento pratico della lingua, ma a fornire uno sfondo accennato e sbiadito di cultura allo studente, come se saper parlare fosse un optional meno importante di conoscere Coleridge, anche perché, se non so parlare come faccio a comunicare l'amore per quel simpatico omino? Due anni di grammatica e tre di letteratura, entrambi accompagnati da quei libri di dubbia utilità, tutti colorati, con foto di ragazzi in posa con sorrisi tipicamente british, questa è la mia esperienza scolastica, purtroppo non troppo efficace.
Viviamo nel ventunesimo secolo, l'età dei pc, dei politici wc, delle multinazionali, dell'America che sfrutta, della Cina in crescita e delle grandi comunicazioni internazionali. L'Italia è la nazione della fuga dei cervelli e delle speranze nell'estero. Il non conoscere l'inglese è limitante. A meno che non si voglia proseguire a gesti.
1 commento:
Giustissimo! Me ne rendo conto vivendo qui. Senza linglese morirei, e quindi un po' lo sto imparando, diciamo, per rimandare ai gesti che è in fase di gestazione. Tuttavia si rimane male a vedere tutti gli altri exchanging students (dal Belgio, dalla Norvegia, Svezia, Russia, Ungheria, Paraguay (?), Germania) che parlano l'inglese come fosse la loro lingua madre. Per quanto riguarda la scuola non posso non segnalare che in Thailandia non esiste lo studio della letteratura, ma si studia solo e solo grammatica, e per un gran numero di ore e sempre abbinati a un professore madrelingua.
Posta un commento