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mercoledì 24 ottobre 2012

Razzismo. Spiegato come ai bambini

di Giovanni Bonalumi
Vi racconto una cosa che mi è appena accaduta: fuori da un locale, aperto per la serata e pieno di gente, un gruppo di ragazzi di colore arriva nel parcheggio e, in pochi minuti, danneggia un paio di macchine e una moto, dopodiché scappa indisturbato (i carabinieri, chiamati subito dai gestori, arrivano dopo circa un'ora). I commenti che sento fare da diverse persone presenti sono così riassunti: “Io non voglio essere razzista, però questi qui arrivano, fanno quello che vogliono, spaccano le macchine, e nessuno gli dice niente”. Perché hanno tirato fuori subito il razzismo? “Non voglio essere razzista” suona proprio come un’ammissione di razzismo latente.

In questo caso il razzismo significa attribuire a ragioni razziali il fatto che quei ragazzi abbiano agito così. Quindi significa considerare le persone di colore (naturalmente il colore era l’unica informazione che si poteva recepire nel buio del parcheggio) come portate per indole ad atti di vandalismo. E’ curioso il fatto che molte persone considerino possibili enormi differenze razziali tra città di una stessa nazione (Bergamo e Napoli, 800 km di distanza), mentre dall’altra parte riuniscono sotto al nome “di colore” tutti i provenienti dal continente Africa (54 nazioni in 30 milioni di km quadrati). Ecco, ho appena detto un’imprecisione che subito correggo: “di colore” sono, più o meno, quelli sotto al Sahara. Quelli sopra sono “Marocchini”. Mi immagino un pigmeo che dice ad un palermitano e ad un bernese: “Voi europei siete tutti uguali”.
Io non credo che i danni che hanno provocato quei ragazzi siano da attribuire a motivi razziali: la storia ci insegna (e la vita ci dimostra) che per ognuna di queste situazioni c’è un disagio sociale a provocarla. Forse l’emarginazione, forse l’assenza delle loro famiglie, delle istituzioni, degli spazi sociali in cui potrebbero sfruttare le loro energie in altri modi…forse tutte queste cose insieme. Forse anche il razzismo: quello dei loro coetanei, che li esclude dalla società, li lascia soli a progettare gesti per attirare l’attenzione della società stessa. Perché allora si respira aria di razzismo? E’ così chiara l’equazione: disagio sociale + emarginazione = terreno fertile per violenza e delinquenza. E, badate bene, l’equazione non comprende in nessun modo l’appartenenza ad un’etnia. Volete davvero degli esempi? Nei felici anni delle scuole medie e superiori ho conosciuto bergamaschi doc che:
- sfasciavano le auto nei parcheggi
- vendevano droghe di vario tipo a scuola e nei parchi
- rubavano motorini o parti di essi
- si picchiavano con le catene delle biciclette
- lanciavano oggetti sulle auto in corsa
- bruciavano panchine
- etc.

Chi mi ha detto “Non vorrei essere razzista, ma…” cosa dice ora? Non lo sapeva che queste cose le facevano anche gli italiani? Allora dobbiamo ammettere che il ragionamento corretto è: lasciamo stare il razzismo, occupiamoci piuttosto del disagio, dei problemi che stanno alla base di questi gesti.

Uff, ce l’ho fatta, se siete arrivati fin qui vi stimo. Ho scritto con molta fatica, usando frasi brevi e semplici, e ho intitolato “Spiegato come ai bambini”, resistendo alla tentazione di scrivere ironici e liberatori “ma va’?”, per un motivo preciso. “Non vorrei essere razzista, ma…” l’ho sentito dire a ragazzi di 18 anni e ad anziani di 70. Come loro ce ne sono molti, troppi, incoraggiati da politici locali e nazionali che cavalcano l'onda delle loro paure, pilotandoli verso un ignorante razzismo (perchè lo fanno è un argomento che va oltre lo scopo di questo articolo). Spero che leggano e che, grazie a questa spiegazione semplice, possano capire che chi ancora oggi è in dubbio se essere razzista o no, è solo un inutile, insignificante, lurido topo di fogna. Cioè, no, volevo dire che spero che possano capire che chi ancora oggi è in dubbio se essere razzista o no, dovrebbe prima di tutto capire la complessità dei problemi di una persona in stato di emarginazione, senza facilitarsi il ragionamento incolpando l’appartenenza etnica. Razzisti dilettanti.


2 commenti:

Vicky Rubini ha detto...

Tu dici "spiegato come ai bambini". E usi parole adatte e toni adeguati, la calma e la confidenza tipica, il ragionamento logico, basilare, ineccepibile, oltrecché sacrosanto. Patch Adams, un medico statunitense, sostiene che per alleviare il male del (nel) mondo basterebbe, a scuola, aggiungere un'ora di "aiutare/volere bene agli altri". Per i settantenni c'è poco da fare, se non l'hanno capito da soli, dopo la nostra fuga di massa in Belgio ecc, ormai è tardi. Nei diciottenni la speranza è flebile, come la flebo di un settantenne - dentro -. Queste parole andrebbero spiegate ai bambini, e senza che loro vedano, servirebbe mettere in ginocchio certi (pre)adolescenti e fargli vedere i film delle loro azioni da fighi. Ricordi delle medie di chi in classe offendeva (nel senso che lei ci stava male) una compagna mi pare senegalese, e nel pomeriggio andava a pisciare sulla chiesa, scaraventava dalla finestra il cibo, e chissà, nella peggiore delle ipotesi, tra qualche anno non disprezzerà più tanto qualche sfortunata sorella della strada. I bambini dovrebbero imparare che la parola razzismo è da collegarsi direttamente con l'inferno, una roba da far tremare nei polsi le vene.

Sara L ha detto...

Inserire il mio commento: ci vorrebbero 36 ore, come le mie ore di lavoro settimanali. Grazie Gio

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