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mercoledì 7 novembre 2012

Il Comandante e la Cicogna

di Fabio Zoboli
Iniziamo dal fatto di cronaca che m’ha spinto a parlare di questa pellicola: l’intitolazione del passaggio pedonale di Ponte S. Pietro (“la passerella”) ad un tale Gianfranco Miglio. Non che mi stupisca che l’amministrazione destrorsa di turno (leghista in questo caso) scelga di porre in cima alla lista programmatica la celebrazione di personaggi quantomeno discutibili (la biblioteca Marzio Tremaglia docet). Maliziosamente mi sorge spontanea la domanda: quanti elettori leghisti sanno veramente chi sia Miglio, commemorato come politologo se non altro perché considerato l’ideologo della Lega Nord?
E da qui nasce l’idea di scrivere qualcosa su Il comandante e la cicogna, film che celebra al contrario la multiculturalità: attori con accenti diversi (Leo Buonvento, interpretato come sempre magistralmente da Valerio Mastrandrea, di Somma Vesuviana; il collega idraulico Fiorenzo di origini asiatiche; la moglie defunta, Claudia Gerini, con l’intercalare “Belin”; lo stravagante Amanzio, un eccezionale Giuseppe Battiston, con un accento veneto), una Torino come teatro delle vicende che potrebbe benissimo essere Milano o qualsiasi altra città poliglotta del Nord Italia.

Interessante poi la scelta del genere commedia da parte del regista Silvio Soldini (Pane e tulipani, Giorni e nuvole), per inscenare una critica a tratti ironica ma sempre graffiante al degrado del Belpaese, visto dagli occhi bronzei delle statue che popolano la città: Giuseppe Garibaldi, Leonardo da Vinci, Giacomo Leopardi, Giuseppe Verdi, ma anche il Cavaliere Cazzaniga, personaggio venerato al pari dei grandi ma emblema dell’opportunismo e del provincialismo, tanto che si trova costantemente, sebbene sia pura finzione, in disaccordo con l’Eroe dei Due Mondi, considerato dal cav. un “comunista” (il parallelismo con un nostro ex premier è lampante e, seppur forzato, l’umorismo che ne deriva è piuttosto amaro).
Surreale ma non per questo sconclusionata, l’opera cinematografica è agrodolce: a tratti esilarante ma con ampie pause riflessive, si propone non come sterile disapprovazione della società ma piuttosto esaltando quelle piccole cose che per i singoli sono fondamentali, come l’importanza di prendersi cura di qualcuno (la ritrovata serenità conclusiva del protagonista) o di qualcosa, come fa l’introverso tredicenne Elia con la cicogna che dà il titolo alla pellicola.
Il messaggio finale è quindi solo apparentemente di stampo gattopardesco: è vero che molti, come l’avvocato Malaffano (Luca Zingaretti), sanno adattarsi ai cambiamenti, nella convinzione che essi non comprometteranno in alcun modo le posizioni di privilegio di certe classi, ma è altrettanto vero che anche una famiglia qualunque, come quella di Leo Buonvento, con i consueti problemi di un padre che deve crescere da solo due figli adolescenti, possa farcela pur mantenendo la sua dignità.

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