di Michele
Facchinetti
L’intera
opera di De Andrè è annuncio, buona novella e vangelo.
Volevo
iniziare col parlarvi della canzone simbolo, "Il pescatore", la quale sottintende
la vita come cammino e incontro, un attimo di luce tra due oscurità.
Infatti
è la scoperta della precarietà dell’esistenza che permette ad ogni individuo di
poter diventare veramente Uomo, sostenendo il prossimo, concependo la vita come
servizio "versando il vino e spezzando il pane" anche se chi mi chiede aiuto
per gli altri è un assassino!
La
scoperta dell’amore, la capacità di accettare la morte nell’attesa della
resurrezione, l’ultimo sole appunto.
Infine
il tema della trascendenza il guardare oltre del pescatore, esisterebbe infatti
nell’uomo un tipo di intelligenza per mezzo della quale noi non captiamo solo
idee, emozioni, ma percepiamo contesti molto più grandi nei quali ci sentiamo
inseriti in un tutto.
Lo
stesso De Andrè disse: la mia religiosità consiste
nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena che comprende tutto il
creato e quindi nel rispettare tutti gli elementi, piante e minerali compresi,
perché, secondo me, l'equilibrio è dato proprio dal benessere diffuso in ciò
che ci circonda.
Il
nostro quoziente di spiritualità è definito dai neurobiologi come punto di Dio.
La
spiritualità appartiene alla dimensione umana e non è monopolio delle
religioni, piuttosto le religioni sono una delle espressioni di questo punto di
Dio.
Perciò
Fabrizio De Andrè è a pieno titolo un evangelista portavoce della profonda
coscienza, dell’energia vitale che pervade anche ma non solo le vicende umane.
Le
sue canzoni sono comprensione umana, preghiere, guerra alle ipocrisie, amore
per gli ultimi, gli emarginati e gli oppressi.
Per
chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di
speciale disperazione tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per
consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità di verità.
Il
vangelo secondo De Andrè è un percorso di comunione vera che esprime l’essenza del Cristianesimo secondo cui nessuno si libera da solo, nessuno libera un altro ma
ci si libera tutti insieme.
Fabrizio
De Andrè non aveva la presunzione di indicare la strada, di trasmettere la sua
verità ma di riconoscere a se stesso e agli altri la libertà di scelta, "e a
chi diceva è stato un bene, raccomandò non vi conviene venir con me dovunque
vada, ma c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva
strada".
Anche
Gesù disse ai suoi discepoli: volete andarvene via anche voi?
Fabrizio
De Andrè è stato semplicemente un anarchico, come Gesù del resto, perché
l’anarchia prima di essere un appartenenza politica è un modo di essere, chi
sceglie un ideologia può anche sbagliare chi sceglie i senza voce, gli oppressi
e i fragili no.
Essere
anarchico non significa seguire un catechismo, un dogma, è uno stato d’animo
una categoria dello spirito.
Qualcuno
potrebbe trovare bizzarro il rapporto di De Andrè con la religione.
Il
Dio con cui parla viene continuamente sfidato a presentarsi come uomo.
Non
parla mai di un Dio da lodare e temere, anzi concepisce quel Dio come il potere
che nel corso dei secoli camuffandosi da Dio non ha fatto altro che uccidere, sfruttare
e opprimere, capitò
anche a Gesù, "il potere vestito d’umana sembianza ormai ti considera morto
abbastanza e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni degli umili degli
straccioni".
Il
potere dopo aver ucciso Gesù nel nome di un Dio, si travestì da Figlio di Dio e
altri uomini uccise (inquisizioni, crociate, roghi ecc ecc ), per questo
motivo non posso, non devo, non voglio pensarti figlio di Dio ma figlio
dell’uomo fratello anche mio.
In
"Si chiamava Gesù", il Cristo era stato raccontato come un uomo tra gli uomini,
che non era riuscito a eliminare il male dalla terra e ne aveva accettato
lacrime e spine anche se inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza
rancore.
De
Andrè ha contestato i comandamenti uno a uno con la canzone, "Il testamento di
Tito", ma ha proposto per ogni comandamento un suo personale modo di appropriarsene
rendendoli molto più umani, facendo in fine prevalere l’amore, Tito infatti
infrange ogni comandamento tranne il più importante quello appunto portato dal Cristianesimo "ama il prossimo tuo come te stesso" infatti alla fine qualcosa
in lui cambia nel vedere un uomo come lui che sta per morire ma che però
perdona i propri assassini, nella pietà che non cede al rancore impara l’amore.
Tutto
questo discorso potrà sembrare a molti utopico, amare i propri nemici, belle
parole ma poi nei fatti… nella concezione generale l’utopia indica qualcosa che
non si potrà mai raggiungere che non si potrà mai realizzare, Lei è
all’orizzonte, mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Per
quanto io cammini, non la raggiungerò mai.
E
quindi a cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: A camminare.
L’utopia
si realizza strada facendo.
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