di Andrea Fasolini
E' storicamente provato che, in tempi di crisi economico-sociale, spesso l'opinione pubblica tenda ad accusare, giustamente o meno, determinati soggetti e foze economiche, responsabili dei diffusi disagi.
La polemica legata all'eventuale aumento delle aliquote per i redditi superiori ai 200.000 euro non nasce in Europa: in un'America segnata dai salvataggi bancari e dalle riforme sociali volute dal Presidente, l'aumento delle imposte sui miliardari sembra essere il solo modo per ridurre il deficit di bilancio,scongiurando così lineari tagli alla spesa sociale. Le ridicole imposte sulle transazioni finanziarie e la detraibiltà sostanzialmente applicabile a qualunque bene, retaggi della trascorsa presidenza Bush, hanno portato molti miliardari a chiedere un aumento delle imposte sui mega-stipendi, che in molti casi sono inferiori a quelle applicate ai redditi medio-bassi.Tuttavia, applicare la medesima logica in Europa è fonte di errore. Il modello di crescita statunitense si fonda sul concetto di stato minimo: meno tasse applico,più stimolo i consumi. Così, pur perdendo gli introiti derivanti dai beni detratti, l'azienda produttrice di tali prodotti vedrà aumentare il proprio fatturato, di conseguenza pagherà più tasse e offrirà più posti di lavoro.
In Europa il modello di sviluppo è molto differente: lo stato ha molti più oneri, come la sanità e la previdenza sociale, di conseguenza, basandosi sul principio di solidarietà, i ricchi pagano già molte più tasse rispetto ai ceti medio-bassi.
Di conseguenza,i miliardari europei sono sempre meno incilini a finanziare un welfare state spesso spendaccione, trasferendo i prorpi capitali in paesi che offrano migliori garanzie. Due lampanti esempi riguardo tale fenomeno sono individuabili in Francia e Italia: i miliardari francesi, spaventati dalla super tassa del presidente Hollande, hanno già richiesto in massa di poter ottenere la cittadinanza belga e inglese, dove i governanti stendono tappeti rossi a coloro che vogliano portare i propri capitali nei propri confini. In Italia, l'aumento delle tasse portuali sulle imbarcazioni di lusso, che secondo il governo di Mario Monti avrebbero dovuto garantire introiti per 200 milioni di euro, hanno sortito l'effetto opposto: le imbarcazioni di lusso si sono spostate in paesi come la Grecia, dove la tassazione è molto più morbida, facendo perdere 20.000 posti di lavoro al settore, e causando una diminuzione delle entrate per lo stato pari a 500 milioni di euro. In un mondo globalizzato, credere di vincere le sfide del futuro con metodi da Grande Depressione appare sempre più assurdo.
Proprio la globalizzazione dei mercati, tanto contestata da molti, viene spesso citata come una delle cause della deflagrazione del sistema industriale nostrano. Eppure paesi come la Germania, grazie ad aziende quali Wolkswagen, hanno costruito la propria recente fortuna proprio commerciando con i cosiddetti mercati emergenti: non dimentichiamo che nel 2003 i tedeschi sforarono per primi gli accordi sul deficit concordati a Maastricht e gli interessi applicati ai loro Titoli di Stato era ben superiore agli omologhi italiani.Oggi, grazie ad enormi sforzi, come la cancellazione delle tredicesime per i lavoratori statali e accordi sindacali molto pesanti, i nostri vicini teutonici vantano cifre invidiabili, così come la loro industria.
Sempre più spesso sedicenti economisti affermano che la differenza più lamapante che distingue il bel paese dai propri vicini europei risiede nell'elevata evasione fiscale, riperquotendosi sui servizi offerti dal welfare. Tuttavia, è necessaria una precisazione: attualmente l'Italia ha raggiunto l'avanzo primario, cioè se non fosse per il costo degli interessi sul debito pubblico, il deficit sarebbe pari a zero. L'elevata tassazione diviene quindi necassaria per compensare la diffusa evasione fiscale. Nonostante ciò, rimangono degli interogativi di difficile risoluzione...
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