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domenica 2 dicembre 2012

La "Questione araba"

di Dennis Salvetti

Quella che si potrebbe chiamare "questione araba" è oramai passata in sordina nell'informazione, ubriaca di primarie del PD, attacchi al governo Monti, le indecisioni della destra, l'affaire Sallusti, la crisi e il clima che cambia (il tutto trattato peggio che nei peggiori bar di Caracas...), se non per alcuni episodi che non possono che fare "rumore". Pochi episodi non possono permettere di far conoscere il complicato mondo arabo che sta riscoprendo un proprio ruolo nel mondo, non solo come esportatore di petrolio o come generatore di terroristi, ma anche come insieme di masse popolari che reclamano libertà e democrazia, che reclamano la possibilità di essere musulmani e al tempo stesso aspirano alle "prerogative tipiche" del mondo occidentale (laico-cristiano), ossia parlamentarismo, possibilità di dissenso, emersione dal ruolo di manodopera a basso costo per le compagnie straniere. Accompagnato (purtroppo) anche con la violenza: il fuoco che ha acceso a suo tempo il nord-africa si è esteso ed ha infiammato tutta l'area araba ("lasciando ai margini" Iran e pochi altri Stati), si pensi alle (poco conosciute e storiche) manifestazioni in Qatar, Kuwait e l'area degli "emirati del petrolio" in genere, dove il dissenso era represso anche grazie ai petro-dollari. Violenza dei governi che non vogliono perdere i loro troni, violenza dei ribelli che di fronte a decenni di repressione si lasciano andare a violenze estese (spesso, come accade in queste situazioni, condite con vendette personali) e silenziose.

E' impossibile dare risposte certe, ad esempio perchè nelle consultazioni sono risultati emergenti i partiti confessionali, mentre quelli laici sono stati lasciati ai margini, nonostante il medesimo impegno nel sollevarsi contro i precedenti regimi, è un mondo complesso dove l'islam funge da collante ma al tempo stesso è formato da decine di correnti spesso confliggenti, anche all'interno dei due grandi "contenitori" del sunnismo e del sciismo.
(Alcuni di) Questi episodi che ho accennato sono: il riconoscimento "a dignità" di Stato della Palestina, la guerra civile in Siria e la situazione (esplosiva) in Egitto.
Partendo dal "caso Palestina" per anni da destra a sinistra (in Italia almeno) si è abusati delle definizioni di "arabi-buoni" e "israeliani-cattivi" (da una parte) e "arabi-cattivi" e "israeliani-buoni" (dall'altra). Questo perchè si tratta di un conflitto decisamente radicato ed endemico e molto complesso. Non starò qui a farvi la solita ramanzina sulla nascita del doppio Stato ebraico ed arabo. Le date le si conoscono a menadito: 1948, risoluzione ONU per la spartizione dell'ex mandato britannico in medio-oriente (ereditato dal 1919) tra la necessità di far sopravvivere le popolazioni arabe da secoli stanziate in loco e la necessità degli ebrei di avere una patria. Come ben sappiamo i buoni intenti di una organizzazione acerba e molto debole quale era (ed in parte è) l'ONU portò a tutt'altri risultati: lo scontento di due popoli, la guerra e la vittoria inaspettata degli israeliani su una coalizione araba. "Comincia qui" la militarizzazione e la spartizione della Palestina, con la figura pilatesca dei "garanti" occidentali. 1956, la crisi di Suez, "scatenata" dall'Egitto con la nazionalizzazione del canale, che portò Francia e GB a tentare l'ultima guerra coloniale, con Israele che si sente minacciato. Questa terminò con grande smacco delle ex potenze coloniali (grazie all'intervento di USA e URSS) e con Nasser (Egitto) acclamato come leader del panarabismo. 1963, la guerra dei sei giorni, un fulmineo conflitto terminato con la totale sconfitta degli arabi, e la maggiore estensione di Israele, nonchè la "nascita" dei territori occupati e del problema degli sfollati palestinesi, scacciati dagli israeliani e non accettati dagli arabi. 1973, guerra dello Yom-Kippur, terminato con un intervento ONU che fu podromo ai trattati che portarono i confini di Israele entro i territori della Palestina, pur con il mantenimento dei territori occupati. Dopodichè le due Intifade, condotte con sassaiole (e attentati suicidi da parte dei movimenti islamici palestinesi riunitisi poi nell'OLP) e con le armi pesanti dell'esercito della stella di David. Senza poi contare gli innumerevoli conflitti collegati (Iraq, Siria, Libano...). E' del 29 novembre di quest'anno la notizia che finalmente l'ONU vota a stragrande maggioranza (138 sì, 9 no, 41 astensioni) il riconoscimento di Stato osservatore alla Palestina. Indubbiamente è una decisione molto grave, poichè permette alla Palestina il diritto (giustamente) di poter ricorrere alla Corte di Giustizia in caso di violazione del diritto internazionale (un diritto che molti paventano possa essere abusato), ma dall'altro necessita che gli organismi politici dell'ANP si prendano la responsabilità di "funzionare da Stato" ossia assicurare il rispetto del diritto (anche internazionale) e il disarmo delle molte fazioni "a piede libero". Ci si può solo augurare che (grazie anche al "ritrovato" ruolo dell'Italia e dell'UE in genere) si riaprano i canali diplomatici e che i rubinetti del sangue si chiudano, nonostante la pessima risposta di Israele (Palestina); ma bisogna considerare che gli USA (nonostante il voto negativo all'AG) siano ben disposti a risolvere una situazione estenuante (e da un certo punto di vista imbarazzante) per la comunità internazionale.
Passiamo alla questione Siria. Qui i combattimenti continuano sanguinosi sia da parte del governo sia da parte dei ribelli, nessuno esclude colpi durissimi. Su internet girano testimonianze visive e scritte sullo stato del conflitto. Il rischio di estensione del conflitto tra l'altro è elevatissimo, un po' per il blocco in Consiglio di Sicurezza (sempre per la discutibile questione del veto), un po' per le velenose parole provenienti dai Paesi circostanti (Iran, Israele e Turchia in particolare). Qui invece la diplomazia internazionale (ed europea in particolare) si dimostra in affanno, anche a causa delle "rassicurazioni" del regime di Assad, che impedisce qualsiasi intervento.
Infine l'Egitto dove dopo le rivolte anti-Mubarak e anti-Giunta militare, si è passati, soprattutto da parte dei copti, delle donne e dei laici all'attacco del Presidente Morsi che, con una mossa a sorpresa, tramite decreto si è assunto poteri amplissimi e dittatoriali, in particolare per quanto riguarda la questione giustizia. La nuova Costituzione poi risulta essere decisamente confliggente con la richiesta di diritti espresse in più occasioni dalla piazza. L'esame della Consulta egiziana dei decreti risulta è bloccata dalle manifestazioni pro-Morsi. Assordante risulta il silenzio della diplomazia, che sembra (almeno questo passa dai canali di informazione) essere disinteressata.

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