di Vicky Rubini
Nadia
Agustoni (1964, Bergamo) ha pubblicato per Gazebo Edizioni i seguenti libri di
poesia: Grammatica
tempo ( 1994) , Miss Blues e altre poesie (1995), Icara o dell’aria ( 1998), Poesia
di corpi e di
parole ( 2002), Quaderno di San Francisco (2004) e Dettato sulla geometria degli spazi ( 2006), Il
libro degli Haiku bianchi ( 2007) . Nel
2009 è uscito per “Le voci della luna” Taccuino
nero.
Nel 2011
sono usciti Il peso di pianura per
“LietoColle”, il Pulcinoelefante Il giorno era luce e la
plaquette Le parole non salvano le parole per i libri
d’arte Seregn de la memoria.
Collabora a
varie riviste ( QuiLibri, La mosca di Milano, L’area di Broca e altre) e a blog
letterari.
E’
redattrice di LPELS “ la poesia e lo spirito”.
Sue poesie
sono apparse nella riviste “Poesia” “Pagine”e in altre pubblicazioni.
Si è
occupata in saggistica di Etty Hillesum, Elizabeth Bishop, Kazimiers Brandys,
Cristina Annino,
Patrizia
Cavalli, Gianna Manzini.
Un suo
scritto è nel libro: “ Aurelio Chessa, il viandante dell’utopia” Biblioteca
Panizzi ( 2007).
Vive e
lavora a Bergamo.
L’Autrice si
è resa (più) che disponibile a voler collaborare con un’intervista (ahimè)
virtuale necessaria per poterla leggere con qualche riferimento in più. Abbiamo
la fortuna di ospitare Nadia Agustoni.
V - Si è parlato ultimamente del tuo libro
sulla realtà del lavoro in fabbrica, mi riferisco a “Taccuino
nero” Le voci della luna 2009, ma avevi già
alla spalle sette libri pubblicati in cui parli di tutt’altro
e molto lavoro di saggistica, critica letteraria.
Volevo quindi chiederti, come ti ha influenzato
lavorare in fabbrica rispetto allo scrivere?
A- Non mi ha
influenzato, se non per il fatto che ho orari pesanti e quindi poco tempo.
Quasi sempre
scrivo,
prendo appunti o leggo nelle prime ore del mattino dalle tre alle cinque e poi
vado al
lavoro. Nel
farsi della scrittura invece sono libera; non mi sento vincolata ai temi del
lavoro o a una
condizione.
Quanto ho scritto fino ad ora può dare un’idea delle cose che mi interessano.
V - A volte nella tua poesia traspare una
vena dolente, a volte usi l’invettiva, a volte c’è rabbia...
oppure usi la descrizione (penso ai paesaggi
di Il peso di pianura l’ultimo libro pubblicato
nel 2011) ma leggendo attentamente si
capisce che è un mondo che si muove, con squarci
improvvisi, interrogazioni, la tua è una
poetica complessa, ma con un punto direi fondamentale,
è interrogativa. La domanda è al centro del
tuo dire?
A- Sì, del
mio dire e della mia ricerca. C’è l’interrogare il mondo, fin dalla superficie
per trarne
insegnamento.
Ovvio che la risposta arrivi poi da dentro, e nemmeno sembra risposta a volte.
Ma si
risponde con la vita, in tanti modi. Tenere aperte sempre le domande è poi una
pratica che
permette di
verificare nel tempo e insieme andare più a fondo. Ogni volta si scava e la
scoperta
vera è
stata, almeno per me, che non c’è quello che chiamiamo buio, è sempre luce. Una
luce
diversa che
porta all’interiorità e ci fa guardare tutto da capo, ci fa scoprire lo
stupore, la nostra
capacità di
stupirci magari di cose cui non davamo importanza. E’ quello che chiamiamo buio
a
sfidarci, e
a mettere alla prova il coraggio.
V - Le Tue Prosa e Poesia, nel Taccuino, ci
sono entrambe, una in appendice alla seconda; che
rapporto le lega, quali invece le differenze
sostanziali ? Le hai usate anche prima?
A- Le ho
usate varie volte, anche in “Icara o dell’aria”, anche se in modo un po'
diverso. Non direi
che il
discorso vada separato; nel Taccuino ho avuto il dubbio riguardo l’inserimento
delle prose
finali; poi
mi hanno consigliato di lasciarle lì. La cosa ha senso proprio perché sono
collegate
al discorso,
lo completano. Scegliere i propri strumenti non è semplice; decidere che un
libro di
poesia
contenga brani che apparentemente non sono poesia deve comportare una
riflessione, ma
se leggi con
attenzione ti accorgi che quella prosa è poesia.
V - La Poesia Ti aiuta a sostenere la vita della
fabbrica? Funge un po’ da schermo protettivo o è
un punto di vista completamente diverso?
che fai di
qualunque cosa a dirti se c’è poesia è in azione o meno. Si scrive di ortiche e
di rose, ma
non per
consolarci, si scrive per dire qualcosa che pensiamo di dover dire.
V - Leggendo la Tua poesia il linguaggio è
quello chiaro e comprensibile che si sviluppa per
immagini (molto spesso forti, o fortissime
(penso ad esempio “una cappella sistina di ragni e
graffiature”)), e in un’intervista hai detto
che se ci riuscissi scriveresTi Poesia anche in dialetto
(posto che non mancano, talvolta magari
versi in dialetto); di barocche in Te ci sono solo le viti,
la poesia altisonante, la poesia anche
ermetica, non sembrano fare per Te; questione di stile
fisiologico o scelta anche un po’ voluta?
così, più o
meno. Ma appunto è un libro in cui c’è molto (anche un po' di dialetto) e la
cosa
importante è
vedere se chi lo ha letto ha colto un po' della realtà del lavoro. Il lavoro
subordinato,
specie in
mansioni pesanti, fa si che il corpo e la mente ne risentano, ed è difficile in
generale
dire come
tutto questo, insieme alle condizioni in cui si svolge il lavoro, incida su chi
lo fa. Ci sono
voluti tanti
e tanti anni per arrivare al Taccuino.
Sul
linguaggio posso dirti che c’è un filo che lega i miei libri, lavoro sulla
lingua da sempre, c’è chi
mi trovava
ermetica all’inizio, oggi molti dicono che uso un linguaggio semplice e per
altri ancora è
oscuro... va’
a sapere.
V - Perché scrivi?
A- E’ una
domanda difficile, in un certo senso, già però ti ho risposto prima. Scrivo
perché sento
che ho
qualcosa da dire. Adesso la dico così, tempo fa avrei detto che scrivo anche
contro il
dolore; il
dolore è già qualcosa da dire, ma non sempre non comunque, solo quando la
sofferenza
non è mai
solo nostra e ha radice lunghe, profonde, nel mondo. In ogni caso rimando al
mio breve
testo
“Viaggio e poesia”.
V - Perché i giovani che non aspirano a
diventare poeti dovrebbero leggere la Poesia?
A- Leggere
vuol dire confrontarsi con testi che ti fanno capire cosa è stato fatto e cosa
sta
cambiando
nello scrivere poesia. La poesia come autismo, stare solo con se stessi non fa
per me,
per esempio.
V- Quali autori viventi consigli loro è
perché?
A - Fare
nomi è sempre sbagliato, ma per non scappare qualche nome posso farlo,
omettendo
gli amici in
questo caso, e proprio perché sento che questi pochi nomi hanno qualcosa che vi
può servire:
Ida Vallerugo, Mario Benedetti, Giampiero Neri, Franca Grisoni, Fabio Pusterla.
Una
piccola
scelta (in verità molto piccola) di poeti diversi che nella loro singolarità
possono dare l’idea
a chi
comincia a leggere poesia, di quello che si muove. Ripeto, una piccola scelta,
il meglio
sarebbe
procurasi qualche antologia. Sul perché leggerli direi che ognuno di loro tocca
un mondo,
vi porta le
schegge di un mondo che è anche il vostro, il nostro, ma con gli occhi che
hanno loro
e l’intonazione
di quel poeta, che è solo sua, ma se ne raggiungi il centro, ti può muovere
dentro
un’altra
vita che forse non riuscivi a immaginare.
V- Va bene allora credo sia tutto,
naturalmente speriamo di poterTi ospitare nuovamente, per l’uscita di una nuova
opera. Grazie mille.
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