Torno a scrivere qualche riga dopo un lungo silenzio e tento
di farmi perdonare cimentandomi in un esperimento: l’analisi comparata di due
film che apparentemente hanno ben poco da spartire, ma che il Caso ha voluto che
vedessi a brevissima distanza l’uno dall’altro, sorprendendomi con analogie che
non balzano all’occhio immediatamente. Il titolo dell’articolo è quindi
provocatorio fino ad un certo punto; anche se i puristi del cinema
inorridiranno, quello che mi appresto a proporvi è proprio un confronto tra
Tarantino e Kubrick: giudicherete voi se sarò convincente o se si tratta piuttosto
di un volo pindarico.
Ma veniamo al dunque: le pellicole che m’hanno acceso la
lampadina sono state rispettivamente Django Unchained e Full
Metal Jacket. La seconda è un classico di ogni cinefilo, datata 1987 ma
sempre attualissima, nota anche da chi non ha avuto ancora il piacere di
vederla per personaggi ormai diventati icone, come il sergente Hartman o il
soldato Palla di Lardo. Django invece
è l’ultima fatica di Tarantino, pertanto i dibattiti della critica sono tuttora
in atto, anche perché lo stesso regista, già ai tempi dell’assegnazione della
Palma d’Oro a Cannes per Pulp Fiction,
aveva sostenuto: “Il mio cinema o si ama
o si odia”.
Non voglio forzare la mano e trovare a tutti costi
corrispondenze, ma l’aspetto più evidente è il carattere di denuncia sociale di
queste due opere: da un lato la schiavitù e dall’altro l’addestramento militare
e la guerra del Vietnam, temi che peraltro non sono mai mancati nella storia
del cinema, ma che con questi due registi sono stati affrontati con una
tagliente ironia, a tratti proprio un black humour, che li ha resi
inconfondibili.
Altra somiglianza: la maniacale attenzione per i dialoghi,
teatrali, a volte quasi surreali, ma sempre capaci di esaltare gli attori e
catalizzare l’attenzione dello spettatore. Il tutto amalgamato dall’oculata
scelta della colonna sonora, capace di smorzare o rimarcare il pathos a seconda
delle esigenze precipue. E non è un caso che in queste settimane in testa alla Classifica Album iTunes si è insediata
stabilmente proprio la
Quentin Tarantino ’s Django Unchained Soundtrack, che
propone, tra gli altri, musiche di Ennio Morricone.
Non che Kubrick fu da meno inserendo
pezzi quali Paint it black dei
Rolling Stones, These Boots Are Made For
Walkin’, recentemente tornata alla ribalta per la rivisitazione moderna dei
Planet Funk o Surfin’ Bird dei
Trashmen.
Ma probabilmente vi starete chiedendo perché non ho ancora
citato uno dei tratti distintivi della filmografia di Tarantino: il copioso
flusso di sangue. Ebbene, anche in Django
il cineasta non si è risparmiato, anche se dissento da coloro che l’hanno
giudicato splatter, perché non ha nulla a che vedere con le pellicole dell’amico
regista Rodriguez, Machete e Dal tramonto all’alba tanto per citarne
due; certo, il realismo e la crudezza delle immagini sono assolutamente
caratteri salienti anche di quest’opera, ma sono funzionali all’intento di
spezzare la tensione emotiva di dialoghi altrettanto drammatici. Anche in Full Metal Jacket il sangue e le grida
di dolore dei Marines in Vietnam non sono affatto tralasciati: quanti film di
guerra invece trascurano questi “dettagli”? Scene come i colpi del cecchino che
trucida, in senso letterale, vari soldati americani o il tragico epilogo
dell’addestramento della recluta Palla di Lardo sono però fondamentali tasselli
per trasmettere allo spettatore il messaggio di Kubrick.
Eppure entrambi questi lungometraggi, forse per instillare
un briciolo di speranza laddove morte e sofferenza sono costanti, hanno un
lieto fine, seppur francamente farsesco, volutamente per stigmatizzare l’assurdità
della vita: la pirotecnica esplosione con cui Django conclude la sua vendetta e
i militari in Full Metal Jacket che
camminano di notte nella città in fiamme cantando la Marcia di Topolino.
Detto questo, non voglio trovare ulteriori analogie forzate, anche
perché Kubrick ha dimostrato di essere un regista a tutto tondo nella sua lunga
carriera, riuscendo ad esprimersi ai massimi livelli in quasi tutti i generi in
cui si è cimentato con la cinepresa, mentre da questo punto di vista lo stile
di Tarantino è molto più caratterizzato ed univoco. È altrettanto vero che il
filmaker e storico cinematografico Peter Bogdanovich ha definito Quentin
“il regista più influente della sua
generazione” e, tenendo conto della sua tuttora giovane età, sono fiducioso
che di strada ne percorrerà ancora molta e in futuro possa scrivere altre
pagine di grande cinema.
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