di Sara L.
Bergamo, un giorno che non ricordo di
fine agosto: alla mia scrivania sto compilando il modulo ferie per il
28 settembre, c'è un matrimonio che rimarrà negli annali, non lo
posso assolutamente perdere. Non faccio in tempo a consegnare il
modulo che già lo strappo: i due ieri si sono sposati (e oggi ne
sento ancora gli effetti...) ma io non ero in ferie, ero assente dal
lavoro per sciopero.
Non so quanti dei lettori si sono
accorti dello sciopero di ieri, indetto dai comparti pubblici di CGIL
e UIL, che coinvolgeva i lavoratori degli enti pubblici, quelli della
sanità privata, e (come me) delle cooperative sociali. Le
motivazioni della protesta sono legate principalmente all'opposizione
rispetto alla politica dei tagli al comparto, della riduzione del
personale, della vacuità nel dialogo con le parti sociali coinvolte;
l'opposizione quindi contro la cosiddetta spending review, portata
avanti in modo miope da parte di un Governo che in quest'ambito non
ha cambiato rotta rispetto ai precedenti.
Non intendo fare di questo articolo un
mezzo di propaganda sindacale, intendo dare la visione, non
esauriente e sicuramente soggettiva, dello spaccato di due tra le
ricadute che provoca la politica dei “tagli al settore dei
fannulloni, che non arricchisce ma fa solo spendere”.
LAVORARE CON MENO DI UN EURO PER
CITTADINO
La sensazione costante e asfissiante di
chi, come me, opera nel sociale è spesso di impotenza: anche ottimi
professionisti, con un ottimo bagaglio formativo, profonda conoscenza
della legislazione, ottime capacità professionali hanno gran poco
spazio di azione quando hanno a disposizione un bilancio che alla
voce “contributi economici” non ha abbastanza denaro neanche per
pagare un caffè a tutti i cittadini del territorio di riferimento.
Con questo non intendo dire che i problemi sociali si risolvono
(solo) con i soldi, badate bene... ma certo la liquidità è uno
strumento indispensabile per rispondere ai bisogni delle famiglie che
si trovano in condizione di crisi economica, che negli ultimi anni
sono in costante aumento. Probabilmente, avendo cominciato a lavorare
a crisi già conclamata, soffro di meno la frustrazione della
mancanza di soldi rispetto a colleghi abituati a lavorare in contesto
di “vacche grasse”, se mai di vacche grasse si sia potuto parlare
in ambito sociale. Sta di fatto che il cittadino che fatica a mettere
insieme il pranzo con la cena per sé e i figli, pagare l'affitto o
il mutuo, le bollette, le spese sanitarie e scolastiche e tutto ciò
che deve coprire il bilancio di una famiglia, poco se ne fa della mia
creatività progettuale, della comprensione e della propensione
all'ascolto, della capacità di accogliere il suo bisogno: tutti
aspetti indispensabili, ma con una pacca sulla spalla non si mangia
di certo. In un contesto in cui nel giro di pochi anni i
finanziamenti si sono ridotti alla metà della metà quando va bene,
concetti come “diritto al reddito minimo vitale” o “livelli
essenziali di assistenza uniformi” fanno ridere, o meglio fanno
piangere... sicuramente fanno sentire presi per il culo (francesismo
sgradito ma obbligato) i cittadini.
BASTA FANNULLONI!
Se il concetto dei tagli tocca il
cittadino nel momento in cui si vede ridotti i finanziamenti
necessari per dare risposta ai bisogni primari
casa-cibo-scuola-salute e vede sempre più persone rivendicare il
loro diritto di precedenza in una vera guerra tra poveri, i tagli
toccano eccome anche gli operatori direttamente e di conseguenza
anche i cittadini, che si vedono privati delle figure di riferimento.
Non solo assistenti sociali, ma anche assistenti educatori per
disabili, psicologi, educatori in contesti comunitari... Ad abbattere
la scure, purtroppo, non è solamente la politica dei tagli in questo
caso, quanto un modo tutto italiano e della “brutta politica” di
procedere a operazioni di facciata e a slogan, un esempio su tutti:
il blocco delle assunzioni. Al proclama di “basta coi fannulloni”
si è proposta la semplice soluzione: assumiamo meno personale, così
il contribuente la smetterà di pagare gente che mangia a sbafo
(come, prego?!) e riceve stipendi d'oro (COME, PREGO?!?!). Risultato?
Per ogni 5 dipendenti pubblici che cessano dal loro incarico ne può
essere riassunto 1: in pratica se vanno in pensione un vigile,
un'impiegata dell'anagrafe, un geometra, una segretaria e una
bibliotecaria bisogna fare la conta per scegliere quale figura serve
riassumere più urgentemente. E allora viva la creatività: non si
assume ma si fanno contratti di collaborazione per esempio, perchè i
servizi vanno comunque prestati... e voi cari contribuenti pensate
davvero di effettuare un risparmio in questo modo?
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