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mercoledì 30 gennaio 2013

Intervista all'autrice: Chiara Dama Daino

[Francesco Mancin: "con grande onore e riverenza accolgo la Poetessa e ringrazio l'intervistatore per l'ottima idea e la magistrale esecuzione..."]


di Vicky Rubini

Abbiamo l’onore di avere nostra “ospite” Chiara Daino, Scrittrice, Autrice, Poetessa, Artista, Attrice,Cantante, Compositrice, ma soprattutto se stessa, sfuggevole ad ogni tipo di etichettatura. Si è resa più che disponibile per rispondere ad una breve intervista che riporto con orgoglio proprio qui sotto.


V -  Dama, introduciTi e introducici

D-«Mi presento: io/sono la tua vita/ sono quella che/ ti concerta in », «Hey, I’m your life/I’m the one who takes you there». E col Triste Vero principia, Metallica, l’introdursi: Chiara Daino, meglio conosciuta con il patronimico di Dama [femmina del Daino], è sbucciata dall’utero il 5 marzo 1981. Segni particolari: Pesci. Palco, Parola, Pentagramma. La Dama alterna attività autoriale [drammaturgia, prosa, versi, lyrics, fiabe] all’atto attoriale [atti unici, seminari, reading].
Brutalmente scaraventata da un perverso promotore del Poetancien Régime nel merdaviglioso ambiente delle Patrie Lettere, opera una personale azione di disturbo – opponendo borchie tenaci [Cultura Heavy Metal che la anima e la sostiene] ai tralci bucolici [Coltura dell’Arcadico Vezzo]. Dondolando sulla terribile U di Tarchettiana memoria, rifiuta ogni etichetta, specie quella di hobbysta giacché il suo Mestiere è questo: Microbo farmacoresistente.
La Dama si inocula, con effetto Larsen e muraglia di Marshall, nel tessuto adiposo dell’italia perché sia nuovamente Italia, e per affrettare l’Alba.
La natura coleretica della Dama è rimessa nei reflussi gastroesofagei dei suoi corpi cartacei [libri], dei suoi gesti tripartiti [collaborazioni], dei suoi growl migliori [palchi].
Attualmente latitante, si vocifera che sobilli masse di Rocker e di Metalhead per sterminare la massa dei poetanti paupulanti, degli artigiani fintamente umili, dei creativi a tempo perso, e di tutti quei buonisti non buoni, salutisti non sani.
Fedina penale, che altri chiamano curriculum vitae: http://www.chiaradaino.it/curriculum.asp
   
V- Qual è il senso, quale il valore di un nome d’arte? E perché Dama?

D- Dama non è, benché devota al Duca Bianco, un nome d’arte in senso stretto o un eteronimo: è patronimico adattato alla funzione artistica. E alla peculiarità psichiatrica: personalità multipla che separa «Chiara» da «La Dama» per garantire la sopravvivenza e dell’una e dell’altra.
Pure: il distinguo da demarcare è più d’uno e le ragioni di Vincent Damon Furnier, di Farrokh Bulsara e di Reginald Kenneth Dwight non sono quelle di Amantine Aurore Lucile Dupin o di Fernando António Nogueira Pessoa… Giustifico anche il nom de plume per evitare cacofonie onomastiche e per tutti i «figli di» che non vogliano paragoni/ingerenze/vantaggi/svantaggi ricevuti in dote col primo vagito. Non tollero, invece, chi si nasconde [al pari del troll peggiore] in identità altre, ancor più fasulle di quella primeva: frittura diaria erano e frittura diaria restano…
                  
      V- A chi/cosa serve l’arte oggi?
D- Fossimo ad Utopia, risponderei: a chiunque. Pur sono troppo cinica e troppo concreta per imbellettare la verità: l’Arte serve a potenziare le sensibilità che si lasciano agire; a convertire in bello anche l’orrore; ad inalveare forze generanti e rigeneranti; a denunciare e denudare ogni umano provare – provocando, nel senso anfibologico del termine.

                 Come l’Artista vede il pubblico odierno
D- Nel mio caso [ché è santa e sana abitudine sanguinare solo le proprie ferite, anziché gloglottare per ipotesi]: lo vedo sfocato e in due dimensioni, ma è il risultato di ambliopia mista a miopia… Il mio pubblico è prezioso manipolo che rispetto e che mi è indispensabile: senza lettori la pagina è nulla, senza platea il palco è assente.

      V- Arte e impegno politico?
D- Ogni atto – artistico e umano – è un atto politico. Il problema è la πόλις: l’Italia non ha mai perso la «mentalità feudale». Il 1861, a mio avviso, resta la data convenzionale per un Unità che ancora non si manifesta.
V- Credi che esista un tipo di responsabilità, dell’Artista nei confronti del pubblico? Cioè, quanto è corretto impersonare un personaggio “volutamente sbagliato”?
D- Messaggio e messaggero non sempre coincidono. Quando indosso la veste autoriale vivo tutta la responsabilità di ogni sillaba sgranata, per coerenza e per coscienza. Tuttavia: il ruolo dell’antieroe [o del personaggio negativo] è propedeutica e fondamentale, da sempre. Essenziale è quindi – instradare il Lettore, istigarlo al ragionamento per sollecitare un processo Etico.
    
     V-             Oggi come oggi, ho idea, ci si tende a confondere -Il vero artista chi è? 
D- Evitando escamotage alla Montale [ché ben più semplice sarebbe chiarire chi artista non sia], successo e soldi, ça va sans dire, non sono un certificato di garanzia o di qualità. Citando, in merito, Aldo Busi: «un’intelligenza che ci guadagna non è mai tale, è bieca, per quanto brillante, imprenditorialità che si serve del mondo per com’è e per tenerlo com’è, se no gli salta il fatturato».
Il vero artista, l’artista vero è chi sacrifica tutto – in primis: se stesso – all’Arte. Perché non può essere, non può esistere altrimenti. L’Arte non è un passatempo, non è un hobby, non è una ruota di scorta… L’Arte non è un cosmo facile, non è un modo felice di essere vivo.

V- L’Italia e l’Arte
D- Checché starnazzino – ovunque e comunque – l’Italia resta un fontanile d’Arte. Al di là del patrimonio culturale e dell’eredità storica [e ricorderei i dimenticati librettisti italiani] la vivacità artistica italiana è innegabile. Il confronto con l’oltralpe e col resto del globo terracqueo mi risulta impossibile, tolte le opere d’importazione [libri, film, sculture, et cetera…], perché non conosco la realtà quotidiana degli altri Paesi. Dialogando con amici emigrati ritorna il proverbiale: «l’erba del vicino è sempre più verde [o più buona]».

     V-              Il tuo Artista di riferimento / idolo artistico / Artista preferito?
D- Per non sbagliare: Carmelo Bene. Da sempre e nel per sempre.
E riesumo una breve manipolazione monologante, tramite cut-up e interpolazioni personali, dell’Opus Beniano – «Il servo dell’Insolito»:

Bello e andato è il primo tempo, senza orgasmo è naturale…
Era troppo eccezionale per poterlo meritar.
Troppo troppo troppo! Domando troppo.
Eh, sì dopo aver pianto tanto sulla storia,
io voglio vivere un tantino felice…
Domando troppo, è vero?, a quanto pare…
[Rivolto ai fantasmi degli astanti:]
Febo – davanti a te hai parecchi giorni,
ma cresce questa tua vecchia clientela
dell’a che pro?
È un titolo provvisorio perché il mio delitto è disinteressato
quando ti dico: lo sai che ho morso il frutto dell’incoscienza?
Elena – vago per la mia stanza e mentre tu stai prendendo il tè
in fondo all’oro di un bel settembre, rabbrividisco per la tua salute.
[Melodramma dell’appendersi alle tende. Ride, per parodia:]
Ahi la luna, la luna m’ossessiona.
Sembri quasi una di quelle. Una di quelle – poetesse…
Ah, la latitanza del femminile!
Ahimè! Non me la sento di sposarmi: sono troppo spregevole per questo;
Voi non siete abbastanza intrattabili…
Sempre così, ad estasiarvi…
E vivacchio, vivacchio. Sono troppo.
Sono troppo numeroso per dire sì e no.
Oh, Orrore Orrore Orrore!
Non c’è mente mente che possa concepirlo,
Lingua a esprimerlo
– mi sento troppo pazzo;
da sposato maciullerei la bocca alla mia bella
e caduto in ginocchio le direi queste parole losche:
è troppo, è troppo, il mio cuore è troppo centrale
e tu non sei che carne umana;
e la carne umana puzza!
Non puoi, non puoi trovarmi tanto ingiusto se ti faccio del male.
In verità più ci si estasia insieme e meno si è d’accordo,
in verità la vita è troppo breve…
TROPPO TROPPO TROPPO!
Semprelei, Luisolo, Luisolo e Semprelei. Luisolo:
e più che struccarsi, si cancella il viso…
[Febbrile, al pubblico e a nessuno]
Se m’è vietato fare quello che voglio,
mi si permetta almeno
di pensare e cantare a modo mio:
«Finora non avevo meritato di trovare libero il cesso».
Poi buio, violentissimo, il sipario: è troppo, troppo, troppo. Ora è dentro il suo stomaco il presente (questo ieri truccato d’avvenire sulle scene): se l’è ingoiato come la sua buona stella senza nome e cognome. E la sua passione, quella stessa che un giorno gli aveva sussurrato, tra le carezze,… Io odio…, lo abbandonò – educata come un angelo, aggiungendo a quell’odio: non te.

Ecco, si spegne il lume: «Non darai più spettacolo di te».
Ecco, si spegne il lume: «Non darò più spettacolo di me».
Ecco, si spegne il lume.


E gli dèi concessero agli umani il dolore
perché ai poeti non mancasse il materiale

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