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sabato 15 settembre 2012

Votare.

di Vicky Rubini
Buon giorno a tutti, torno a pubblicare dopo un paio di mesetti di latitanza, cercando di imporre al mio stile la brachilogia che necessita, scegliendo  una lunghezza quindi parsimoniosa non a discapito di un contenuto che mi concedo di credere abbastanza elevato, quanto basta per esistere su questo blog di alto livello, come si proponeva (e si propone!) di essere in relazione alla quotidianità giornalistica e soprattutto “telegiornalistica” di massa.
Da lontano (dall’esterno, come direbbe Eco) credo si possano capire e vedere con più chiarezza cose che dall’interno risultano a volte sfuggevoli, e il passato non è esente da questa regola, e tanto più è facile se aiutati da un buon manuale qual è: “Storia politica dell’Italia repubblicana” di Maurizio Ridolfi (Università della Tuscia a Viterbo). E di questo libro di ricerca sentirete ancora parlare, da me almeno, perché credo umilmente che sia molto ben fatto.
Quello che voglio fare oggi non è dirvi come la penso, quanto più chiedervi, e fare chiedere a voi stessi, cosa pensate in merito all’obbligatorietà del voto, un tema che era stato anticipato senza seguito già nel 1880 e poi nel 1920, in vista di un di disegno di legge concernente il voto amministrativo, e infine nel 1945, con una polemica intorno alla proposta lanciata dalla Democrazia Cristiana, il partito di massa politicamente “al centro” che sarebbe stato al governo praticamente per un cinquantennio, di un’obbligatorietà giuridica del voto, appunto. Fu Costantino Mortati,
 della commissione ministeriale per l’organizzazione dello Stato a inoltrare la proposta ufficiale, e si ebbero i riscontri seguenti: la Chiesa naturalmente si mostrò favorevole, agendo dove e come poteva, per fortuna, nelle chiese e sostenendo che gli aventi diritto dovessero sentirsi “in coscienza strettamente obbligati a fare uso di quel diritto”, il che è giusto, credo, e sacrosanto; c’era poi da fare i conti col Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti (il Pci sarebbe stato il secondo partito di massa in Italia, perennemente all’opposizione ad eccezione del mandato 1984, in cui” vinse” (come se l’elezione fosse una guerra, già allora) per meno di un punto sulla Dc). Togliatti definì, infatti, il voto obbligatorio una “misura antidemocratica, perché tende a sostituire un regime democratico e liberale, come quello a cui aspira la nazione, con un regime di sedicente democrazia organizzata con cartolina rossa”.
La verità, come quasi sempre, sarà nel mezzo, e l’articolo 48 della Costituzione reciterà: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne (siamo già dopo il 10 marzo 1946, giorno del decreto istitutivo  che introdusse l’eleggibilità, oltreché il già introdotto potere di votare,  delle donne), che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.”
Ad ogni modo l’opinionista Luigi Palma insisterà sull’obbligo del voto:
La legge prevede delle sanzioni per coloro che senza giustificato motivo si astengono dal voto, che se pur non sono di carattere materiale, tuttavia sono gravi dal punto di vista morale. Infatti i nomi dei disertori delle urne saranno esposti alla pubblica riprovazione per la durata di un mese nell’albo comunale e per il periodo di cinque anni, la frase non ha votato, sarà scritta nei certificati di buona condotta, rilasciati dal comune, e tutti sanno come questo certificato sia richiesto in tanti atti della vita privata che interessano il cittadino, per es. domande per impieghi, licenze di commercio, domande di porto d’armi, di passaporto ecc.”
Concludo con le parole di  Andrea Damiani: “ Bisogna rivalutare il voto. Questa è la sola via d’uscita. Il voto è superiore a ogni offerta, è impagabile con qualsiasi chiacchiera, non è un biglietto di favore per il Parlamento, ma l’arma dei cittadini a difesa dei propri diritti e per la salvaguardia della democrazia; perciò va usato soltanto con chi dà maggiori garanzie di serietà politica, nell’ambito dei rispettivi interessi.”
Se un popolo non vota, dico io, allora non merita la sua democrazia, se la democrazia non è votata allora non esiste un popolo, ma un gregge.
Ah,sempre ammesso che i voti li contino davvero.

1 commento:

Miriam Bi ha detto...

Anche se ho dei seri dubbi sull'efficacia dell'astensionismo, in alcuni casi considerato come una sorta di credo politico alternativo (mi è capitato di vedere in Spagna, prima delle elezioni, cartelli che incitavano alla "Abstenciòn activa"!), sono assolutamente contraria all'obbligatorietà del voto: credo che leda la discrezionalità di cui ogni singolo membro di una democrazia dovrebbe godere e nel contempo farsi responsabilmente carico. Grazie dello spunto Vicky!

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