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sabato 27 ottobre 2012

Buddismo Theravada

di Vicky Rubini

Bentrovati, oggi si parla (non esaustivamente, ahimè) di religione. In Thailandia il 95% della popolazione è buddista (la differenza è composta da musulmani -3%- e cristiani/altro), per la precisione si tratta di buddismo Theravada.
Fondamentalmente, come suggerisce il nome che significa insegnamento dei vecchi/autorevoli/saggi, la dottrina vede nei monaci i suoi esponenti di maggiore rilievo religioso. E’ interessante osservare durante le numerose cerimonie religiose, a cui prendo parte ogni week-end, che esiste una gerarchia ferrea nella disposizione geografica dei monaci sull’altarino sui cui si siedono: quello che impugna il microfono, il primo, è il capo -primus inter pares, naturaliter- del tempio; si immagini l’abate in un’abbazia europea. Seguono coloro che nel tempo, e nel tempio, si sono distinti per meriti di varia rilevanza, quali la devozione dimostrata nella meditazione, il distaccamento dalle cose terrene, il privarsi di emozioni ecc. In fondo alla coda naturalmente stanno i novizi.

Ora, i precetti su cui si basa il buddismo Theravada sono essenzialmente che la pace dell’anima si raggiunge attraverso la meditazione, ma non è una questione escatologica alla maniera squisitamente cristiana, infatti il fedele non sta bene “dopo” la meditazione, ma durante. Ed è per questo che le sedute di preghiera posso protrarsi anche per ore. Gli efflussi benefici sono tuttavia rintracciabili, come accennavo nell’ultimo articolo, nell’apatia sentimentale, aporia fisica, e atarassia spirituale. Ebbene sì, sembra che proprio da questa antichissima religione il buon Epicuro abbia tratto le sue dottrine edonistiche.
Dunque per essere un buon fedele devi essere sostanzialmente una sorta di ameba (ma non mi dilungo, consultare la pagina “insulti ai thailandesi” redatta nelle notti più buie), e la meditazione è la via più veloc, ehm, efficace per ottenere i risultati sperati. Altro tratto saliente della dottrina è la non-rinnovabilità della dottrina, altrimenti, come nel caso cristiano, si parla di eresia.
Non vi sto a parlare della mitologia buddista, né della cosmologia (in realtà non dissimile dalla nostra (mondo dei desideri-alias inferno- mondo della possibilità, e mondo di Buddha, portale per l’eden, orgasmo perpetuo, chiamatelo come vi pare), non starò a raccontarvi tutte le 550 vite (sette, secondo altre fonti) di Buddha, né vi illustrerò le Quattro Nobili Verità, l’Ottuplice Sentiero, le Tre Caratteristiche. Perché non le so. Vi basti sapere che in Thailandia il buddismo è nato sotto il regno degli Khmer, e ho detto tutto.
Un’ultima considerazione è obbligatoria, per separare grossolanamente il buddismo Theravada da quello tibetano. Il primo porta casacche arancioni, il secondo gialle, ma soprattutto, secondo il primo la felicità (ripeto, atarassia) risiede nel singolo (se io mangio e tu no,è come se pregassi) per il secondo la felicità risiede nella collettività (se tu non sei felice non lo sono neanche io) .
Da qualche tempo a questa parte, pare, ci son grandiosi sviluppi nel mondo sud-est asiatico -dal punto di vista religioso-. Si parla di eco-sostenibilità, si parla di sinergia con le altre forme di buddismo, si parla di diritti alle donne, si bisbiglia di attivismo sociale... Insomma, si parla un sacco. E si medita...

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