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martedì 20 novembre 2012

Sul far della sera

 di Edoardo Marcarini
Una delle qualità più affascinanti delle arti è la capacità di indurre il cervello a creare immagini e pensieri, che si sviluppano attorno ciò che vediamo, ascoltiamo e leggiamo. Il potere immaginifico manipola ogni mente, o come preferirebbe un artista, ogni cuore, che tocca in modo diverso, perchè urta le esperienze e cresce con esse in una sinergica simbiosi che porta il corpo a reazioni più o meno imbarazzanti (bava alla bocca, pelle d'oca, pianto). La nudità in cui ci sorprende l'arte è la stessa in cui ci trova la natura, che ci lascia sgomenti di fronte alla sua implacabile forza e commossi davanti alla sua pietosa fertilità.
Nel rapporto natura-arte, emozione-immagine, c'hanno pescato per anni gli imprssionisti. La tecnica di decomposizione e ricomposizione dell'ambiente, tramite gli accostamenti tonali e i brevi solchi del pennello, che solo in una visione più ampia assumono significato, come parte di un tutto, la natura assoggettata allo scorrere del tempo e al susseguirsi delle stagioni, un vortice di colori, di immagini che crea un emozione.
Una tecnica molto simile la utilizza, dipingendo su un pianoforte, uno dei due protagonisti di questo articolo: Claude Debussy. Vissuto nella seconda metà dell'ottocento e nei primi anni del novecento, Debussy è uno dei più celebri compositori di musica impressionista, per quanto odiasse l'accostamento del termine alle sue opere. Sebbene arte e musica operino su piani della realtà differenti, rispettivamente spazio e tempo, a livello di pensiero le affinità sono innumerevoli. Debussy era convinto che la musica, meglio delle altre arti, fosse in grado di descrivere la natura, perchè non è vincolata alla minuziosa rappresentazione ma si lega maggiormente all'immaginazione. Gli accordi debussiani formano una sfilata di atmosfere, tutte con lo stesso valore, come le "macchie" dei pittori impressionisti, in funzione del prodotto finale, che è ancora una volta l'emozione. La sua capacità di trasformare in musica una grandissima serie di sensazioni, tramite artifici musicali sia timbrici che dinamici lo avvicina ad un'altra corrente artistica, il decadentismo, e in particolare, per la sua vicinanza con la natura, a Giovanni Pascoli. La poetica di Pascoli è ricca di fonosimbolismi, onomatopee, allitterazioni, anafore, che uniti a periodi brevi che descrivono immagini immediate, generano effetti musicali particolarmente suggestivi, così come anche era solito fare nella sua lingua il pianista. Dietro la descrizione rustica della vita contadina e dei fenomeni naturali, Pascoli nasconde il dolore di una vita di perdite e vuoti, un dolore che non è mai descritto con parole scontate e che urlano pietà, ma viene presentato con immagini.

Del rapporto tra i due artisti ha trattato una conferenza dal titolo "Sul far della sera" organizzata dall'associazione culturale "Dante Alighieri", tenuta in Sala Piatti, in Città Alta, Giovedì 15 Novembre. Sono stati raggruppati per affinità tematica componimenti di Pascoli recitati da Enzo Guerini, attore, e Gabriele Laterza, professore di lettere del liceo Amaldi di Alzano Lombardo, e componimenti di Debussy, suonati al pianoforte da Gabriele Rota, insegnante al conservatorio di Milano. Nel religioso silenzio dei pesenti hanno preso forma note parole e immagini in perfetta armonia tra loro. Per rendersi conto dell'effettiva relazione tra i due, non vi è modo migliore che sentire la loro arte. Qui un pezzo di Debussy intitolato "I pesci rossi", si riesce a sentire l'acqua in movimento, il pesce che si muove in essa, fino a scomparire nelle sue profondità.

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