di Sara L.
Viaggio della speranza: questa volta
non mi riferisco ai miei beniamini dalla pelle nelle sfumature del
caffè e del cioccolato. A farsi decine, centinaia e migliaia di
chilometri alla ricerca di un futuro migliore questa volta sono i
“nostri”, anche se qualche leghista purosangue celodurista della
prima ora probabilmente non sarebbe d’accordo con me. Ma ormai
slogan come “dal Po in giù l’Italia non c’è più” molti
dei leghisti di oggi se li son dimenticati (per fortuna), forse anche
perché ad averli votati è il popolo italiano con la residenza a sud
del Po (purtroppo). Ma questa è un’altra storia… cerchiamo di
tornare sul pezzo…
Allora, come ogni storia del terrore che
si rispetti il nostro viaggio comincia così:“era una notte buia e
tempestosa”…. Mhhh beh, quasi: era mattina, il buio era passato
da poco, ma bel tempo certo non c’era, con quella pioggerellina
fine e quel freddo che si insinua sotto le giacche di chi,
sprovveduto come me, non ha ancora voluto tirar fuori il cappotto
dall’armadio. Incurante delle previsioni meteo accendo
l’immancabile Bontina (la mia celeberrima macchina azzurra
[n.d.r.]) e mi dirigo verso le tristi lande della Bassa, precisamente
nella ridente località di Treviglio: destinazione Palazzetto dello
Sport. Non preoccupatevi, cari fan della mia ben distribuita
ciccetta, non mi sono certo messa a far della sana attività
sportiva: ho avuto piuttosto la bella idea di iscrivermi ad un
concorso. Ora, per chi non è avvezzo a tali mirabili invenzioni
della Pubblica Amministrazione, il concorso per un posto a tempo
pieno e indeterminato è un mito che regna sovrano nell’Olimpo dei
giovani assistenti sociali di belle speranze. Nello specifico, per la
cinica giovane assistente sociale che scrive, è spesso un falso mito
in realtà, che mira non a selezionare l’eletto della platea degli
iscritti ma a confermare chi, sotto altra veste contrattuale lavora
già nell’ente che bandisce il concorso. E’ assolutamente giusto
dare la precedenza a chi lavora già sul territorio, conosce le
persone e gli operatori se questi è bravo ma tant’è, almeno non
illudeteci con la favola del concorso, pensavo scettica guidando
verso il Palazzetto.
Dopo un’oretta eccomi sul posto, sono
in anticipo, quindi vado a bermi un caffè. Al bar incontro una
ragazza, anche lei partecipa al concorso, è arrivata ieri da
Trapani. Finito il caffè, torniamo verso il Palazzetto e il timore
che già al momento dell’iscrizione mi aveva colto si rivela
assolutamente fondato: siamo veramente tante (tantE, perché come al
solito la popolazione maschile è numericamente scarsa e a sto giro,
devo dire, neanche particolarmente avvenente); una ragazza dice che il giorno
prima ha chiamato: siamo iscritti in 200… ecco spiegato perché il
Palazzetto.
Nell’attesa di entrare ci scambiamo le nostre storie
personali e qui, davvero, emergono situazioni che a me paiono
agghiaccianti e che invece le altre ragazze raccontano con rassegnata
tranquillità. C’è chi dice di aver fatto il concorso a Pisa
settimana scorsa,
“ah ma tu c’eri anche a quello dell’ospedale
di Firenze di Ottobre”
“Sì, l’avevo fatto poco dopo quello di
Nuoro!”
… gente proveniente da tutta l’Italia, anche se in
maggioranza dal sud, che settimanalmente gira per il Paese per fare
concorsi.
Ovviamente molte di loro non lavorano,
le più fortunate hanno un contratto a termine. Finalmente un raggio
di luce:
- C.: “Io lavoro da due anni a Caserta in una cooperativa che si occupa di salute mentale”
- Io: “Bello!! E ti piace?"
- C.: “Sì, sto facendo una gran bella esperienza! Il problema però è che da due anni non mi pagano…”
- Io: “… come da due anni non ti pagano?!?! E tu continui a stare lì?!”
- C. mi guarda come se fossi folle e mi dice: “certo! Se vado via, metti che poi iniziano a pagare!!!”
Senza parole… entriamo nel
palazzotto, miriade di banchi ad aspettarci, siamo presenti in 126
per un posto.
Verso metà pomeriggio si torna a casa e inevitabilmente a me frulla in testa un motivetto
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