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sabato 8 dicembre 2012

Viaggio della Speranza: storia vera di 126 Assistenti Sociali

di Sara L.

Viaggio della speranza: questa volta non mi riferisco ai miei beniamini dalla pelle nelle sfumature del caffè e del cioccolato. A farsi decine, centinaia e migliaia di chilometri alla ricerca di un futuro migliore questa volta sono i “nostri”, anche se qualche leghista purosangue celodurista della prima ora probabilmente non sarebbe d’accordo con me. Ma ormai slogan come “dal Po in giù l’Italia non c’è più” molti dei leghisti di oggi se li son dimenticati (per fortuna), forse anche perché ad averli votati è il popolo italiano con la residenza a sud del Po (purtroppo). Ma questa è un’altra storia… cerchiamo di tornare sul pezzo…
Allora, come ogni storia del terrore che si rispetti il nostro viaggio comincia così:“era una notte buia e tempestosa”…. Mhhh beh, quasi: era mattina, il buio era passato da poco, ma bel tempo certo non c’era, con quella pioggerellina fine e quel freddo che si insinua sotto le giacche di chi, sprovveduto come me, non ha ancora voluto tirar fuori il cappotto dall’armadio. Incurante delle previsioni meteo accendo l’immancabile Bontina (la mia celeberrima macchina azzurra [n.d.r.]) e mi dirigo verso le tristi lande della Bassa, precisamente nella ridente località di Treviglio: destinazione Palazzetto dello Sport. Non preoccupatevi, cari fan della mia ben distribuita ciccetta, non mi sono certo messa a far della sana attività sportiva: ho avuto piuttosto la bella idea di iscrivermi ad un concorso. Ora, per chi non è avvezzo a tali mirabili invenzioni della Pubblica Amministrazione, il concorso per un posto a tempo pieno e indeterminato è un mito che regna sovrano nell’Olimpo dei giovani assistenti sociali di belle speranze. Nello specifico, per la cinica giovane assistente sociale che scrive, è spesso un falso mito in realtà, che mira non a selezionare l’eletto della platea degli iscritti ma a confermare chi, sotto altra veste contrattuale lavora già nell’ente che bandisce il concorso. E’ assolutamente giusto dare la precedenza a chi lavora già sul territorio, conosce le persone e gli operatori se questi è bravo ma tant’è, almeno non illudeteci con la favola del concorso, pensavo scettica guidando verso il Palazzetto. 

Dopo un’oretta eccomi sul posto, sono in anticipo, quindi vado a bermi un caffè. Al bar incontro una ragazza, anche lei partecipa al concorso, è arrivata ieri da Trapani. Finito il caffè, torniamo verso il Palazzetto e il timore che già al momento dell’iscrizione mi aveva colto si rivela assolutamente fondato: siamo veramente tante (tantE, perché come al solito la popolazione maschile è numericamente scarsa e a sto giro, devo dire, neanche particolarmente avvenente); una ragazza dice che il giorno prima ha chiamato: siamo iscritti in 200… ecco spiegato perché il Palazzetto. 
Nell’attesa di entrare ci scambiamo le nostre storie personali e qui, davvero, emergono situazioni che a me paiono agghiaccianti e che invece le altre ragazze raccontano con rassegnata tranquillità. C’è chi dice di aver fatto il concorso a Pisa settimana scorsa,

 “ah ma tu c’eri anche a quello dell’ospedale di Firenze di Ottobre” 
 “Sì, l’avevo fatto poco dopo quello di Nuoro!

… gente proveniente da tutta l’Italia, anche se in maggioranza dal sud, che settimanalmente gira per il Paese per fare concorsi.

Ovviamente molte di loro non lavorano, le più fortunate hanno un contratto a termine. Finalmente un raggio di luce:

  • C.: “Io lavoro da due anni a Caserta in una cooperativa che si occupa di salute mentale 
  • Io: “Bello!! E ti piace?"
  • C.: “Sì, sto facendo una gran bella esperienza! Il problema però è che da due anni non mi pagano…
  •  Io: “… come da due anni non ti pagano?!?! E tu continui a stare lì?!
  •  C. mi guarda come se fossi folle e mi dice: “certo! Se vado via, metti che poi iniziano a pagare!!!

Senza parole… entriamo nel palazzotto, miriade di banchi ad aspettarci, siamo presenti in 126 per un posto.

Verso metà pomeriggio si torna a casa e inevitabilmente a me frulla in testa un motivetto 

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