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lunedì 21 gennaio 2013

Ozio Filosofico


di Andrea Fasolini

Oggi propongo un breve dialogo, a mio avviso molto significativo, tratto da un'opera di Platone, "Teeteto", 171c-176a.
Socrate: - I filosofi, fin da giovani, ignorano la via che porta alla piazza, e dove sia il tribunale, o il consiglio, o altra sede pubblica della città; non vedono e non odono le leggi e le deliberazioni, sia pronunciate che messe per iscritto; congiure per prendere il potere, convegni, cenacoli e conviti in compagnia di flautiste, non viene loro in mente nemmeno in sogno di farli; se uno in città sia di nobili o di umili natali, o se qualche traccia di mancanza di nobilita gli sia derivata dal ramo paterno piuttosto che da quello materno della famiglia, tutto ciò gli sfugge più di quanto non gli sfugga il calcolo delle gocce del mare. E, tutte queste cose, neppure sa di non saperle.
 Teodoro: - Che cosa intendi dire, Socrate, con questo?
Socrate: - Ciò che si dice di Talete, Teodoro, che, mentre interpretava i moti regolari delle stelle e guardava al cielo, cadde in un pozzo; e una servetta tracia, arguta e graziosa, lo prese in giro dicendogli che, mentre si sforzava di conoscere le cose del cielo, gli sfuggivano quelle che aveva davanti a sé e ai propri piedi. Lo stesso scherzo si adatta a tutti coloro che si dedicano alla filosofia. Infatti al filosofo sfugge di chi gli è vicino, o del dirimpettaio, non solo che cosa faccia, ma quasi se sia un uomo o un’altra bestia; ma che cosa sia mai l’uomo e che cosa, in base alla sua natura, gli si addica fare o patire, a differenza di tutte le altre cose, questo egli indaga e fa continui sforzi in questo senso. Comprendi, ora, Teodoro?
 Teodoro: - Sì, dici il vero. Socrate: - Ebbene, carissimo, se un tale filosofo, in privato o in pubblico, in tribunale o altrove, è costretto a discutere delle cose che ha davanti ai piedi o agli occhi, suscita il riso non solo delle servette tracie, ma anche di tutta la gente, cadendo, per inesperienza, in pozzi e in ogni sorta di vicoli ciechi; e la sua goffaggine è tremenda, procurandogli fama di stoltezza. E, insultato, non sa nulla di adatto a contraccambiare l’insulto, perché, non essendosene mai dato pensiero, non conosce nulla di cattivo riguardo a nessuno; e nel suo imbarazzo appare ridicolo. E, se altri sono lodati e magnificati e lui si mette, visibilmente, a ridere, non per supponenza, ma sinceramente, sembra che sia uno sbruffone. Se, per esempio, un tiranno o un re viene lodato come un pastore, egli crede di sentirlo lodare come un vero pastore di porci, di capre o di buoi, da cui egli possa mungere molto latte. Ebbene, un tale uomo è deriso dai più, sia perché, come pare, manifesta troppa presunzione, sia perché ignora le cose che ha tra i piedi e si trova continuamente in difficoltà.

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