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giovedì 21 marzo 2013

Fuoco

di Francesca Introna
Oggi scrivo pensando a Roberto Saviano. Oggi scrivo pensando a Napoli, e alla Campania. Oggi scrivo pensando a un paese che si crede civile ma che non si accorge del rogo doloso che distrugge un museo partenopeo. La notte tra il 4 e il 5 marzo qualcuno ha appiccato il fuoco alla Città della Scienza. Scrivo qualcuno, ma è difficile non pensare che siano stati i clan camorristici interessati agli appalti edilizi; questa per ora è la pista più seguita dai pm e subito indicata da Saviano su fb. La notizia, che avrebbe dovuto sconcertare la nazione, è stata relegata da quasi tutti i mass media tra un approfondimento sul sistema elettorale vaticano e la cronaca processuale di un vecchio omicidio.

Ho avuto il coraggio di leggere Gomorra solo pochi mesi fa, e avevo ragione di temerlo. È una lettura che chiude lo stomaco e sconvolge il cervello, finchè non ti senti più in grado di andare avanti e chiudi il volume con gli occhi lucidi pensando che hai bisogno di almeno un’ ora per metabolizzare, per riprendere a respirare regolarmente. Quello che Saviano racconta non sembra credibile, non sembra possibile, e soprattutto non dovrebbe esserlo. Eppure è la verità, nient’altro che la verità. E tutti dovrebbero conoscerla, come si conosce la storia del nazismo e come si conosce la matematica delle tabelline. Perché questo paese non potrà cambiare finchè non avremo risolto il nostro problema principale, e cioè la criminalità organizzata. Criminalità che peraltro si annida come un germe in ognuno di noi, quando pensiamo di fare i furbi violando le regole, quando compiamo un sopruso nei confronti altrui, quando pensiamo che certe cose non siano gravi solo perchè le fanno tutti, quando la violenza non è tanto un modo di agire ma più subdolamente un modo di pensare.

La sera del 5 marzo ho sperato con tutto il cuore che qualcuno mi dicesse qual è la soluzione, qual è la via d’uscita. Ma l’unica cosa che ho percepito è stata l’indifferenza. Anche, e soprattutto, di una classe politica che raramente parla di criminalità organizzata, e che spesso tace perché con essa si confonde e amalgama troppo bene. Quello che i giornali riportano sulla mafia , e sulle indagini tra potere politico e potere criminale, dovrebbe adirarci tanto da scatenare una reazione sbalorditiva di massa, un furor di popolo. E invece non sconvolge mai, soprattutto qui al nord dove i soldi sporchi ci sono ma non si sente l’odore di bruciato, e dove ancora troppa gente (la maggioranza, viste le ultime elezioni regionali) crede in una distinzione manichea tra bene e male, dove al bene corrisponde la pianura padana e al male il profondo sud.



Oggi scrivo pensando che ho ventun anni e che non rinuncio alla speranza di vivere in un paese onesto, e che per questo obiettivo cercherò di fare tutti gli sforzi di cui sono capace.

“Credo che il dovere rivoluzionario dello scrittore sia scrivere bene […] Il romanzo ideale è un romanzo assolutamente libero, che non solo inquieta per il suo contenuto politico e sociale, ma anche per il suo potere di penetrazione nella realtà; e meglio ancora se è capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio”. Gabriel Garcia Marquez

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