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giovedì 18 aprile 2013

L’importante è saper rinunciare



Una stagione sci-alpinisitica [#3] di Francesco Locatelli

Le Alpi Centrali nel mare di Nebbia, viste dalle sommità del Pizzo Scalino (3323 mt.)
Le intenzioni del messaggio erano chiare fin dall’inizio: partenza presto, parecchia strada, una meta ambita e materiale di sicurezza obbligatorio. Anche se il meteo dice “variabile con tendenza ad annuvolamenti dal primo pomeriggio”, non posso di certo perdere l’occasione di una bella gita in ottima compagnia! La risposta è pronta: avviso gli amici che l’indomani ci sarò anch’io, con il mio scarso allenamento, l’ARVA (dispositivo per la ricerca sotto le valanghe) nuovo di pacca ed una pala e sonda prestate all’ultimo minuto.

La piramide del Pizzo Scalino (3323 mt) vista da basso
Ore 5.25 sono già fuori dal cancello di casa ad aspettare quel passaggio che arriverà con diversi minuti di ritardo, visto che uno dei compagni non ha sentito la sveglia. Lungo l’infinta statale che conduce a Lecco, tra un acceso dibattito sulla mala sanità lombarda e banali considerazioni degne delle peggiori tribune politiche, il sonno continua a bussare alla nostra porta. Costeggiato il lago di Como fino al suo naturale immissario, svoltiamo verso Sondrio diretti alla località Campo Moro. Ad accoglierci, uno splendido pianoro situato ad un’altitudine di circa 2000 metri, punto di partenza per numerose ascese o semplici escursioni nel gruppo del Bernina, dal versante italiano della Valmalenco. La meta di oggi è il Pizzo Scalino, una montagna “solitaria” di forma piramidale che confinando con la Svizzera, si erge “spavalda”di fronte ai giganti Retici, non lontano dal gruppo del Masino-Disgrazia.

Il gruppo del disgrazia visto da est
Dopo un buon caffè ed una lunga salita, piena zeppa di tornanti, arriviamo al parcheggio e, verificato il corretto funzionamento degli apparecchi ARVA, tocca fin da subito una “partenza sprint” che coglie impreparato sia me che le mie povere gambe. Il trattamento che i soci mi riservano durante la prima parte del tragitto non è certamente dei più incoraggianti: passo felpato, compagnia “a distanza”, frecciatine sul mio stato fisico e nemmeno l’ombra di una pausa. Già dopo una decina di minuti riscontro che oggi sarà una lunga e faticosa giornata: oltre a non tenere il ritmo del duo in testa, sento che le feste pasquali hanno decisamente contribuito ad infiacchirmi il corpo e lo spirito, già sufficientemente rammolliti dall’ultimo mese di totale inattività sci-alpinistica. Superata una grossa duna, sono improvvisamente travolto da una sensazione di eterna stanchezza, che a dire il vero, mi accompagnerà per tutta la giornata. La sorte vuole infatti che, alla vista della montagna e ancor peggio, degli immensi pendii che ad essa conducono, le emozioni che dovrebbero automaticamente subentrare nell’animo coscienzioso di un giovane alpinista, sono inspiegabilmente tramutante nei peggiori incubi di un pantofolaio d’appartamento.

Salendo verso il "Cornetto"
 Il ripido manto di neve che conduce al Cornetto diventa il mio personale calvario: gli amici, ignari della fatica che mi deruba energie come un ladro nella notte, si fanno ancor più lontani. Le pause, sempre più frequenti, non sono sufficienti nemmeno a riprendere il fiato, ormai stanco e affaticato da uno sforzo non previsto. Maledicendo la pigrizia che mi ha accompagnato negli ultimi mesi, vengo superato persino da un “non-giovane” sci alpinista partito diversi minuti dopo di noi. A denti stretti procedo talmente lentamente che la sella da raggiungere sembra spostarsi alla mia stessa velocità cogliendo in scacco le già-sufficientemente-provate capacità cognitive in un perfetto paradosso spazio temporale degno di un noir hollywoodiano. Mentre la meta diventa così infinitamente lontana, mi sento sempre di più protagonista di una commedia fantozziana: da buon sfortunato cavalier qualunque, decido di non mollare e, in un tempo a dir poco ridicolo, riesco comunque a guadagnare la sella nei pressi del Cornetto, dove trovo i compagni concentrati nell’inscenare una simulazione di “ricerca travolti da valanghe” con gli ARVA. Gli amici fanno finta di capire le mie sofferenze e dopo avermi più volte illuso e rassicurato sul fatto che converrebbe a tutti procedere più lentamente, riprendono immediatamente la salita alla stessa velocità di prima. Per fortuna, a questi due brutti ceffi, ci sono abituato e, senza cadere nella loro trappola, mi riavvio alla mia velocità.

I due brutti ceffi, sullo sfondo il Pizzo Scalino
Passate alcune centinaia di metri, la stanchezza, in costante aumento, mi suggerisce che ormai sono arrivato “alla frutta”. Dato che la pista ancora da percorrere è notevole, approdo inevitabilmente in una fase di profonda rassegnazione mista a frustrazione e vergogna per essermi presentato al cancelletto di partenza così scarico. Sebbene qualche segnale di spossatezza mi aveva accompagnato nel corso dell’ultimo periodo, non è giustificabile come da un anno a questa parte il seppur sporadico allenamento sportivo, invece che rinvigorire la forma, ha avuto conseguenze inaspettatamente negative. I compagni, intuendo che la rinuncia è ormai imminente, dall’alto mi scrutano, curiosi di capire quale sarà la mia prossima mossa. Io, che nel frattempo sto prendendo le sembianze di un cadavere barcollante, decido, nella totale padronanza delle mie facoltà, che è giunto il momento di chiudere e abbandonare la partita. Entrato di diritto nella parte del celebre Ugo Fantozzi grido, con una voce soffocata: “ragionieri, non ci sto più dentro. Vi ho mentito, non sono mai stato ad Azzurro di Sci! Raggiunto il passo qui sopra, aspetterò il vostro ritorno scavando una truna con la pala” (data la temperatura al di sotto dello zero, è prudente cercare o costruirsi un riparo, se si deve stare fermi per diverso tempo).

Il Pizzo Scalino visto dal "Cornetto"
Come un guerriero in procinto della sconfitta alla primissima battaglia, mi trovo in bilico sulla linea che divide l’ultima speranza dal profondo fallimento. Con le poche forze rimaste cerco di raggiungere il punto prefissato, quand’ecco che subentra in me una sensazione che soltanto una volta nella vita avevo incontrato. Nonostante ora mi trovi a non meno di un migliaio di metri più in basso di quel 20 luglio 2010 sul Monte Rosa, il fenomeno della “parlata solitaria” inizia ad impadronirsi della mia mente! E così, come un gladiatore che si sta per arrendere davanti agli occhi intrepidi della folla, mi auto impartisco, a gran voce, una lunga serie di incitamenti, capitanati dal classico “daga det” e susseguiti da un non meno dialettale “molà mia”. In questo preciso modo raccimolo le energie per sopraggiungere a quella che dovrebbe essere l’estrema meta della giornata. Arrivato finalmente al punto tanto concitato mi sento decisamente meglio, soddisfatto e parzialmente rimborsato.

Un flash, un’immagine, un’epifania: io, Gio e Luca abbracciati alla croce della vetta, con il viso arso dal sole e dal vento. E’ bastato questo semplice fotogramma a convincermi che avrei dovuto, in un modo o nell’altro, continuare a salire. Il cielo, sin’ora alternato da nebbie e timidi raggi solari, filtrati da nuvole passeggere, è tornato improvvisamente a splendere: davanti ai miei occhi si accende la vedretta del Pizzo Scalino, sorvegliata dall’immensa maestosità dei 4000 Retici. Con passo lento, ma ormai deciso a continuare, seguo fedelmente la traccia che conduce verso l’alto: un minuscolo binario che attraversa l’intero ghiacciaio, al sicuro dagli invisibili crepacci disseminati sotto la coltre e dalle improvvise slavine che, nelle ore calde, potrebbero originarsi dal distacco con la parete rocciosa. Con decisione e sofferenza proseguo il cammino fino a che, alla mia vista, compaiono gli amici, i quali sono inaspettatamente molto meno distanti di quel che pensavo. Intuisco allora che la fatica dovuta alla quota inizia a farsi sentire: una sensazione di stanchezza e mancanza di ossigeno che si manifesta vivamente verso i 4000 metri, ma che presenta i suoi sintomi anche a quote minori. Mentre il sole continua a splendere alto e radioso, da lontano noto con sorpresa che l’andatura dei compagni è decisamente diminuita e spezzata da frequenti pause. Cercando di mantenere il passo più costante possibile raggiungo gli amici, che da poco sostano sotto un ripido canale che porta in cresta.

Imponenti cornici minacciano la traccia di salita
Il luogo scelto per la sosta è a dir poco accomodante: parecchio pendente, molto scomodo, ristretto  quanto basta e, dulcis in fundo, situato a valle di imponenti cornici formatesi su di una fascia rocciosa situata una cinquantina di metri sopra. Dato che tutto ciò è solo un assaggio del concetto ben più grande di alpinismo, decidiamo di “prenderla con filosofia”, e ci godiamo un meritato sorso di tè. In un lasso di tempo incredibilmente veloce, Gio è già pronto per ripartire e decide di avviarsi con l’obbiettivo di tastare il tratto alpinistico che ci separa dalla vetta. Mentre io e Luca riprendiamo fiato e discorriamo sull’intenzione o meno di proseguire, Gio è già oltre il canale e prosegue solitario in cresta. Nonostante le intenzioni sono quelle di continuare insieme il breve ma delicato tragitto, Luca ha qualche problema con i suoi ramponi, perciò sono costretto ad andare da solo. Mentre l’amico mi cede, molto cortesemente, la sua picozza in modo tale che io ne abbia una per ogni mano, lotto letteralmente con metri e metri di neve cercando di indossare i ramponi. Riuscito in codesta impresa, saluto Luca e inizio a salire per il canale, della pendenza di circa 50 gradi

 Uno degli spettacoli più belli che si possono provare nell’andar per monti, è senz’altro l’emozione sprigionata dalla vista di un immenso panorama, apparso nell’istante in cui si raggiunge un passo da una valle cieca. Così anch’io, raggiunta la sommità del ripido canale, sono improvvisamente colto da una gioia viva e infinita quanto lo splendido scenario che mi trovo davanti: un vastissimo mare di nebbia è rotto soltanto dagli enormi massicci delle Alpi Centrali, mente sotto i miei occhi, le vertiginose pareti di roccia mista a ghiaccio della montagna, vanno perdendosi nella nebbia. Le nuvole, mosse da un vento iracondo, coprono e scoperchiano le montagne vicine creando così delle trame che restano in scena pochissimi istanti. Completamente galvanizzato dall’ambiente che mi circonda, che nulla ha da invidiare ai più  celebri 4000 alpini affrontati durante il periodo estivo, seguo le tracce sul filo di cresta cercando di prestare la massima attenzione, non tanto per la difficoltà del percorso, quanto per la fatalità che potrebbe costare al minimo errore. Mentre continuo imperterrito la mia salita e mi accingo ad affrontare un traverso, noto che Gio sta scendendo un tratto delicato, molto lentamente e con faccia a monte. In un primo momento penso che le difficoltà della salita gli abbiano impedito di raggiungere la sommità, ma una volta raggiunto l’amico, egli mi confida che la vetta è appena sopra la fascia di rocce affioranti, a non più di una cinquantina di metri da noi. Alla scoperta di questa ottima notizia, con estrema naturalezza, mi accingo ad ultimare il percorso, quando mi accorgo che il compagno, di poco sopra di me, sbarra deciso la strada. “Non penserai di salire ulteriormente?” “Penso proprio di si, mi mancano solo poche decine di metri dalla vetta!” “Guarda che tra poco c’è un traverso molto delicato e poco sopra un tratto misto di roccia e ghiaccio” “Stando attento ce la posso fare, non mi sembra così complicato, e poi, ho fatto tanta strada per che cosa?” “Non metto in dubbio che tu possa arrivare in cima, ma il problema, senza corda, è scendere” “Sei sicuro?” “Se vuoi proprio salire sarò costretto a seguirti anch’io…..”.

Un monito del genere, fatto da un esperto, avrebbe potuto anche rimanere inascoltato. Ma la persona che mi trovo di fronte, non è solo un esperto, ma anche un sincero amico di cui mi sono fidato tante volte. In un attimo rifletto e capisco il motivo per cui “ho fatto tanta strada” e decido, nel pieno delle mie facoltà, che è questo il momento in cui fermarsi e tornare indietro. Nella mente continua a rimbalzarmi quel fotogramma in venivano raffigurati tre amici sulla vetta del Pizzo Scalino, un’immagine che oggi non vedrò ma che mi porterò sempre nel cuore come testimonianza di non aver mollato quando ero nel pieno di una crisi ma di aver rinunciato, per amore e per coscienza, ad una manciata di passi dalla vetta. I ricordi mi riportano ad altre avventure simili, in cui il sapore della sconfitta si è mischiato a quello dell’avventura fino a diventare un miscuglio di emozioni magiche vissute sulla propria pelle. Come quella volta sulla salita per la Roncola, o di quell’altra sulla cresta est del Pizzo Coca, di cui un giorno forse vi racconterò, anche oggi rammento il grande insegnamento che diede mio nonno quando disse “le montagne sono sempre lì, se non ci andrai oggi, ci andrai domani”.

Io e Gio poco al di sotto della vetta del Pizzo Scalino, vista sud
 Nell’affrontare la discesa del tratto alpinistico che ho appena percorso, ad ogni passo, mi accordo di quanto ho fatto bene ad ascoltare il consiglio di Gio. Fortunatamente l’amico mi impartisce preziose raccomandazioni sul come muoversi e utilizzare al meglio la picozza su questo terreno piuttosto che su di un altro. Tornati finalmente alla base del canale, mettiamo l’attrezzatura nello zaino, calziamo gli sci e ci avviamo da Luca, che nel frattempo ha schiacciato un sonnellino dopo essersi opportunamente coperto con capi caldi.

Sulla cresta finale
La discesa, momento che solitamente dovrebbe essere il clou di una gita sci-alpinistica, non fu niente di entusiasmante; al contrario, fu un vero incubo. Non appena incominciammo la discesa, una nebbia fittissima coprì la montagna dalla sommità fino alle più basse pendici. La visibilità di una quarantina di metri e lo stato di trasformazione della neve, ormai divenuta più acqua che candidi fiocchi, fecero sì che la gambe dovettero sopportare un duro sforzo. A questo proposito vanno senza alcuna ombra di dubbio ringraziati i due amici che, grazie ad una buona conoscenza dell’itinerario ed ad un ottimo senso dell’orientamento, riuscirono a riportare il gruppetto alla base senza alcun problema e senza mai perdere le tracce della salita, anche quando a condurci non fu la vista ma l’udito della voce dei compagni. Dopo una uno spuntino e una birra assolutamente meritata, prendemmo la strada di casa e tornammo alla solita routine.



Gita: Pizzo Scalino (3323 mt.), via normale, versante italiano
Data: 11/04/2013
Partecipanti: Francesco; Gio (vetta); Luca
Difficoltà: BSA (buon sciatore alpinista)
Note particolari: Il mancato utilizzo di sostanze protettive da raggi UV (crema solare) ha provocato ingenti ustioni fino al II grado sul viso dei distratti partecipanti. DON'T TRY THIS AT HOME! 

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