di Dennis Salvetti
È passato un po’ di tempo dalla lettura di “Farla franca
– la legge è uguale per tutti?”, libro-intervista a cura di Franco Marzoli et
al. a Gherardo Colombo (ex giudice istruttore, ex pubblico ministero, ex
consigliere di Cassazione), che tratta di Mani Pulite (e/o Tangentopoli)
vent’anni dopo. Considerata da tutti la più grande opera di repulisti dalla
corruzione e dal malaffare in Italia (almeno fino ad allora, direi), Mani
Pulite ha imperversato per anni nelle discussioni politiche e non solo, come
segnale della fine di un’era, la prima Repubblica, appunto. Nella lettura delle
varie sezioni che compongono il libro (in particolare le “Considerazioni
finali” e le appendici) e nella lettura della realtà odierna, come si presenta
ai miei occhi, almeno, ho provato a ragionare (probabilmente nel mio solito
modo parziale e lacunoso) sulla scansione storica data dal giornalismo
sull’evoluzione delle istituzioni repubblicane (e della società in generale) e ho
provato a trarne qualche conclusione.
Quindi, si è parlato di Prima Repubblica facendo
riferimento al sistema di governo fortemente parlamentare, incentrato sulla DC
e con il PCI all’opposizione. Questo sistema è morto con il “fenomeno” Mani
Pulite.
Si è passati allora in una Seconda Repubblica, incentrata
sullo scontro tra berlusconismo ed antiberlusconismo, con un rafforzamento
dell’esecutivo, e la “maturazione” in un sistema bipolare dell’alternanza.
Infine si è giunti, con l’implosione dell’ultimo governo
Berlusconi (no, non quello che si è appena insediato) e con la sostituzione con
il governo dei cosiddetti “tecnici” (per critiche a questa impostazione potete leggere qui), alla Terza Repubblica (a voi la scelta se sia
nata morta o se sia un aborto o, ancora, debba nascere essendo al momento in
fase di travaglio).
Parto dal presupposto che, secondo me, per parlare di
cambio di regime bisogna che il precedente sia effettivamente defunto e che il
passaggio sia avvenuto tramite una frattura più o meno cruenta e/o drammatica.
Posizione come sempre criticabile, ma che non inficia in alcun modo il prosieguo.
Tentando, quindi, una congiunta lettura di libro e
realtà, mi pare che le cose di ben poco mutate. Infatti le istituzioni
conservano poteri e prerogative originari, senza fondamentali cambiamenti (al
di là della personalizzazione della politica, che ha portato anche a governi
“lunghi”, ben superiori all’anno, contro la precedente media che si manteneva
fortemente al di sotto).
Abbozzando ad una diversa scansione temporale di
avvicendamenti di fasi storico-politiche, direi che la prima “Repubblica”
(meglio fase) possa essere situata tra l’entrata in vigore della costituzione
repubblicana fino agli ’70 circa, con il consolidamento delle istituzioni, il
Paese che riparte economicamente, e la società che si trasforma stimolata dalla
ripresa economica e l’apertura al mondo, mentre le forze sono sostanzialmente
fresche e giovani. La seconda fase inizia con la crisi tra gli anni ’60 e i
’70, formazioni antisistema e relativo terrorismo in risposta ai partiti in
crisi, che per contro cominciano ad interessarsi, in modo sempre più morboso,
ed intromettersi nell’economia e nelle operazioni finanziarie,
burocratizzandosi fortemente. Il tutto in un modo folle e malsano. Tutto
accompagnato da una situazione internazionale fortemente critica (nonostante il
superamento della fase più dura della Guerra Fredda, quella dei missili a
Cuba), in particolare riguardo la situazione mediorientale che provoca
stagnazione nelle economie occidentali. Nasce una generazione mediatica
(infatti si assiste alle liberalizzazioni in campo radiotelevisivo) dove
affarismo, individualismo e rampantismo si identificano negli yuppies,
(spesso) arrampicatori sociali improvvisatisi imprenditori e finanzieri (vedi i numerosi
film di quegli anni). Dilagano la corruzione (vedi i fondi neri IRI, la P2, il
caso SME-Ariosto, lo scandalo Lockheed, e altro ancora) e il malessere sociale
(“disimpegno” giovanile dalla politica, droga, mafia, …).
Emergono in quegli anni i primi germi che porteranno a Tangentopoli (i citati
casi Lockheed, fondi neri, etc.), però è troppo presto: non si può indagare, la
stessa magistratura ne è invischiata e si leva dunque a scudo dell’ordine
costituito, bloccando le inchieste che nascono (nelle liste della P2 figurano
molti nomi di magistrati, soprattutto di alto livello). Riferendosi a quel
periodo (ma non solo) Colombo racconta di ripetute avocazione di processi ed
indagini da parte del Tribunalee della Procura di Roma, soprannominato “porto
delle nebbie”, per la quantità di casi insabbiati.
Scoppia infine Mani Pulite. E giornali e popolo esultano.
Messa alla gogna, la politica affronta una gravissima crisi (anche, ma non
solo, identitaria): le indagini che si estendono a macchia d’olio, gli indagati
eccellenti e le persone sentite diventano una massa incontrollabile ed
ingestibile, i media titolano entusiastici ed euforici che il regime del
malaffare è crollato sotto il proprio peso, i pubblici ministeri coinvolti sono
inneggiati come eroi dalla popolazione, che dileggia in modi sempre più
violenti le persone coinvolte, soprattutto quando sono esponenti politici. (e
qui inserirei la fine della “prima parte” della seconda fase)
Ma.
Ma pian piano l’opinione pubblica si stanca e diventa
addirittura ostile, e per gli eclatanti suicidi e per le accuse di persecuzione
politica da parte di molti uomini delle istituzioni. Dopo la frizzante e
sostenuta stagione del 1992/93, la tensione cala (così come era avvenuta per la
mafia, si ricordino i grandi attentati del periodo), i reati (complice il
legislatore, che aveva ripreso forza e una buona dose di sfrontatezza) sono più
difficili da scoprire e perseguire. Il (tanto decantato) popolo (e i media)
aliena la fiducia a chi indaga, anzi si reclamano le teste dei PM. Il biennio
che segue, è il peggiore per le indagini: si parla addirittura di sottomettere
la magistratura al governo (discorso ripreso in tempi più recenti, in
particolare con il progetto Alfano) (alla faccia della sovversione del regime
democratico!!).
Poi le acque si calmano (“calati juncu ch’i pass’a
china”), le istituzioni politiche si allontanano irreversibilmente dalle
istituzioni giudiziarie (gli esempi sono innumerevoli, basta solo pensare alla
fase storica Berlusconi sì-Berlusconi no), i ripetuti tentativi di riforma
costituzionale falliscono (in particolare a partire dalla “famosa” o famigerata
Bicamerale, quella di Berlusconi e D’Alema). E con fasi alterne si arriva ad
oggi.
Gli autori si chiedono: che ne è rimasto oggi di Mani
Pulite? I casi di corruzione e le inefficienze continuano ad emergere, c’è
sempre meno indignazione ma molte più incazzature, la voglia di cambiare c’è ma
manca la volontà. E fatica e crisi (economica e sociale) e disillusione … e
TUTTO per colpa della politica e dei politici.
Ma. Io ricordo che la politica è lo specchio di un Paese (e fare politica è un'attività impegnativa e stimolante).
Un piccolo esempio per cercare di spiegare che inevitabilmente, che piaccia o
meno, esiste sempre un legame tra la società e la politica. Pensate ad una
persona (uomo o donna che sia, non importa) che si mette davanti lo specchio,
vi guarda dentro e, alla vista di rotoli di grasso e di altre imperfezioni,
esclama “che schifo!”. Per risolvere la situazione può, in alternativa:
comprare un altro specchio, modificare lo specchio affinché mascheri (alla
bell’e meglio) i difetti, eliminare lo specchio da casa, oppure, cambiare stile
di vita (nuova dieta, fare attività fisica, etc.).
Allora, in definitiva, abbiamo una vera voglia di
Cambiamento o vogliamo cambiare affinché nulla cambi?
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.” Gandhi
(citazione sempre giovane, sempre attuale)
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