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martedì 28 gennaio 2014

Daniel

di Francesca Introna
La maestra piangeva. A dirotto, disperata. Aveva in mano un giornale aperto, e cercava invano di leggerlo. Chiamò alla cattedra uno dei suoi alunni, il quale si alzò, la raggiunse, prese il quotidiano aperto dalle sue man e capì senza che nessuno glielo dicesse che il suo ruolo era quello del lettore. E lesse. Lesse una storia tremenda, che i compagni ascoltarono fino alla fine in silenzio. Non riuscivano a capire tutto, perché il gergo era tecnico e le lacrime della maestra occupavano la loro testa, e perché mano a mano che le parole scorrevano percepivano il disastro. Un loro compagno di scuola, che frequentava un’altra sezione dello stesso anno-la quarta elementare- era morto. Stava giocando sul prato del suo campo nomadi, e un cancello malmesso si era sganciato e gli era caduto addosso. Questo era il sugo di quelle parole di giornale.

In quel momento preciso probabilmente non ci fu dolore. Ci fu lo stupore di scoprire che si può morire a 11 anni. Che si può morire prima di avere i capelli bianchi, come i nonni; prima di sposarsi, come la mamma e il papà; prima di avere un mestiere, come la maestra.
Daniel era un bambino un po’ più grande degli altri, iscritto ancora alle elementari perché doveva migliorare il suo italiano. Quando era assente si sapeva che era andato a fare l’elemosina, ma si sapeva anche che ci teneva moltissimo a frequentare la scuola, e che avrebbe preferito abitare in una casa come quelle dei suoi coetanei, non in un campo nomadi. 
Quel giorno i bambini tornarono a casa scossi, forse un po’ cresciuti. E chissà in quanti modi diversi raccontarono la storia ai genitori. Alcuni non ebbero il permesso di andare al funerale qualche giorno dopo. Di sicuro le maestre ci andarono tutte. E di sicuro non sono pochi, tra tutti i ragazzini di quell’aula, quelli che pensano a Daniel ogni volta che incontrano per strada uno zingaro. 
Il giornalismo serve a raccontare i fatti. Le storie devono essere precise, puntuali, approfondite. Devono attenersi al vero. La narrativa serve a conservare quegli stessi fatti in uno spazio pulito, dove anche le vicende più drammatiche della vita umana possono trovare una pace che nella realtà non esiste.
“ porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado, una terra, una nuvola, un canto,
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue,
per la stessa ragione del viaggio viaggiare”


( Khorakhanè- F.De Andrè) 
 Dedicato ai miei compagni di scuola, per tutto ciò che abbiamo condiviso.

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