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domenica 16 marzo 2014

La sperimentazione animale


 
                                                               di Michele Introna

                                            

Negli ultimi anni le polemiche attorno al tema della sperimentazione animale non sono mancate, ma è soprattutto in questo periodo, complici diverse manifestazioni pro e contro, che si è riaperto il dibattito pubblico.

La prima puntualizzazione che coloro i quali si occupano di ricerca ci tengono spesso a fare è che parlare di vivisezione è scorretto. Lo è su un piano tecnico, perchè è un termine che fa riferimento a pratiche dissettorie su animale vivo del tutto fuori moda tra i moderni scienziati, lo è su un piano morale, perché viene usato negli ambienti anti-vivisezionisti per diffondere l’idea che chi compie ricerche sugli animali operi una vera e propria tortura verso altri esserci viventi. I ricercatori in realtà preferiscono parlare di “sperimentazione animale” o ricerca in vivo, termini più generici che includono tutte le pratiche di studio e sperimentazione che possono essere fatte su animali vivi.

A che tipo di esperimenti vengono sottoposti gli animali ?

In generale gli animali vengono impiegati in due tipi di esperimenti. L’animale può costituire il “corpo vivo” da cui partire per capire se un farmaco o una macchina innovativi hanno degli evidenti effetti tossici non previsti in fase di “invenzione”. Oppure si possono alterare (sia facendo ricorso alla ingegneria genetica, sia con altre tecniche) le condizioni di salute di base dell’animale per “mimare” delle condizioni di malattia che si riscontrano nell’uomo, per poterle capire meglio, e quindi curarle meglio.

Inoltre gli animali possono essere utilizzati per produrre “pezzi di ricambio” da impiantare nell’uomo qualora ce ne fosse la necessità, ad esempio nel caso della sostituzione di valvole cardiache umane con valvole prelevate dal suino.

Chi regola la sperimentazione animale?

La storia della sperimentazione sugli animali è fatta di progressive restrizioni al suo utilizzo in seguito alle scoperte che venivano effettuate riguardo alla loro capacità di provare angoscia e dolore, e alla crescente necessità della comunità scientifica internazionale di darsi delle regole etiche, soprattutto dalla seconda metà del novecento in poi. In Europa la normativa vigente è rappresentata dalla Direttiva 2010-63-EU, redatta con lo scopo di applicare criteri più stringenti e omogenei tra gli Stati membri, rispetto alla precedente del 1986.

L’Italia ha recepito questa normativa approvando il 31 luglio 2013 alla Camera dei criteri delega, di fatto distanziandosi dal principio di omogeneità tra Paesi UE che questa legge avrebbe dovuto rappresentare. Nell’emendamento infatti, approvato bipartisan, si trovano elementi di maggior rigidità rispetto alla Direttiva e che hanno scatenato la protesta tra i moltissimi ricercatori che lavorano nel settore, ad esempio il divieto assoluto di allevamento sul suolo italiano di cani e gatti da esperimento o l’obbligo di anestesia anche per piccole procedure come semplici iniezioni.



Cosa sostengono gli animalisti?

Mentre la comunità scientifica mondiale è compatta attorno alla difesa della sperimentazione animale come metodo al momento insostituibile, la galassia animalista non ha una posizione omogenea sul tema. Molti dei pareri contrari agli esperimenti in vivo però convergono attorno all’idea che le conoscenze scientifiche moderne siano arrivate ad un punto tale da garantire un corretto sviluppo di terapie innovative senza fare ricorso agli animali da laboratorio. Inoltre la maggior parte degli anti-vivisezionisti è convinta che le differenze tra uomo e animale dal punto di vista biologico siano così ampie da rendere inutile la fase sperimentale su animale. A sostegno di ciò vengono spesso citati clamorosi insuccessi in campo farmaceutico, primo fra tutti l’errore che portò alla commercializzazione negli anni 50 della Talidomide come medicina per la nausea in gravidanza. L’effetto del farmaco fu disastroso, con migliaia di casi di neonati malformati a causa di quello che poi si rivelò un farmaco con una potente azione teratogena, ovvero che impedisce il corretto sviluppo di un feto.

Cosa sostengono i ricercatori?

I ricercatori al contrario sostengono che della ricerca sugli animali, piaccia o no, per ora non si può fare a meno. E’ senz’altro vero che le tecniche di ricerca attuali sono molto più sofisticate rispetto al passato e quindi è possibile risparmiare l’utilizzo degli animali in diversi contesti, ma una completa sostituzione delle tecniche in vitro per ora è solo un lontano miraggio. Nel caso della Talidomide infatti l’errore fu proprio l’essere frettolosi nell’immissione di questa nuova molecola sul mercato a fronte di dati in vivo parziali o erronei. In effetti studi successivi al ritiro del farmaco dimostrarono che anche nei topi si riproduceva lo stesso identico effetto collaterale sperimentato da diverse madri di figli malformati, e che quindi doveva e poteva essere previsto grazie a studi in vivo più rigorosi. Tutti i malati hanno il diritto di ricevere farmaci che hanno avuto un processo di sviluppo il più rigido possibile, in modo tale da limitare al massimo il possibile insorgere di effetti collaterali, prevedibili solo grazie all’utilizzo in una situazione quanto più simile ad un corpo umano.

Come informarsi al meglio?

In questa giungla di opinioni e dati verificati o presunti tali l’importante è assumere sempre un atteggiamento critico verso qualsiasi informazione ci venga offerta, privilegiando la verifica delle fonti e il buon senso. Chi avrà la pazienza di analizzare anche i documenti citati in questo articolo si renderà conto che, nonostante i molti critici e una crescente opinione pubblica contro la sperimentazione animale, allo stato attuale nessuna comunità scientifica crede in un prossimo futuro libero dalla necessità di utilizzare gli animali per far progredire le conoscenze in campo medico. E’ dalle macerie del nazismo che il mondo occidentale ha creato le basi per una ricerca scientifica etica e metodologicamente corretta, e grazie ad esse si può andare avanti nello sviluppo di nuove tecnologie mediche che curino le persone, senza per questo prevaricare alcun principio morale o giuridico.

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