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martedì 5 giugno 2012

Breve riflessione sul lavoro nel contesto Esiodeo

di Vicky Rubini

Innanzitutto mi scuso per la mancata pubblicazione di ieri, rimedio qui di seguito con l'esposizione di una breve riflessione sul lavoro nel contesto Esiodeo, con l'augurio che questa interpretazione dei "classici" accenda altre riflessioni su un tema così attuale.





Prima una stirpe aurea di uomini mortali
fecero gli immortali che hanno le olimpie dimore.
Erano ai tempi di Crono, quand'egli regnava nel cielo;
come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,
lungi e al riparo da pene e miseria, né per loro arrivava
la triste vecchiaia, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,
nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;
morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni
c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra
senza lavoro, ricco e abbondante, e loro, contenti,
sereni, si spartivano le loro opere in mezzo a beni infiniti,
ricchi d'armenti, cari agli dèi beati.
Poi, dopo che la terra coprì questa stirpe,
essi sono démoni, per il volere di Zeus grande,
benigni, sulla terra; custodi degli uomini mortali
della giustizia hanno cura e delle azioni malvagie,
vestiti di nebbia, sparsi dovunque per la terra,
datori di ricchezza: ebbero infatti questo onore regale.

Come seconda una stirpe peggiore assai della prima,
argentea, fecero gli abitatori delle olimpie dimore,
né per l'aspetto all'aurea simile né per la mente,
ché per cent'anni il fanciullo presso la madre sua saggia
veniva allevato, giocoso e stolto, dentro la casa;
ma quando cresciuti giungevano al limitare di giovinezza
vivevano ancora per poco, soffrendo dolori
per la stoltezza, perché non potevano da tracotante violenza
l'un contro l'altro astenersi, né gli immortali venerare
volevano, né sacrificare ai beati sui sacri altari,
come è legge fra gli uomini secondo il costume. Allora costoro
Zeus Cronide li fece morire adirato, perché gli onori
non vollero rendere agli dèi beati che possiedono l'Olimpo.
E poi, quando anche questa stirpe la terra ebbe coperto,
costoro inferi beati sono chiamati presso i mortali,
genî inferiori, ma onore anche loro accompagna.

Zeus padre una terza stirpe di gente mortale
fece, di bronzo, in nulla simile a quella d'argento,
nata da frassini, potente e terribile: loro di Ares
avevano care le opere dolorose e la violenza, né pane
mangiavano, ma d'adamante avevano l'intrepido cuore,
tremendi; grande era il loro vigore e braccia invincibili
dalle spalle spuntavano sulle membra possenti;
di bronzo eran le armi e di bronzo le case,
col bronzo lavoravano perché il nero ferro non c'era.
E costoro, dalle loro proprie mani distrutti
partirono per la tenebrosa dimora di gelido Ade,
senza fama; la nera morte per quanto temibili
li prese e lasciarono la splendente luce del sole.
E poi, dopo che anche questa stirpe la terra ebbe nascosto,

di nuovo una quarta, sopra la terra feconda,
fece Zeus Cronide, più giusta e migliore,
di eroi, stirpe divina, che sono detti semidei,
anteriore alla nostra sulla terra infinita.
Questi li uccise la guerra malvagia e la battaglia terribile
alcuni a Tebe dalle sette porte, nella terra di Cadmo,
combattendo per le greggi di Edipo,
altri poi sulle navi al di là del grande abisso del mare
condotti a Troia, a causa di Elena dalle belle chiome;
là il destino di morte li avvolse;
ma poi lontano dagli uomini dando loro vitto e dimora
il padre Zeus Cronide della terra li pose ai confini.
Abitano con il cuore lontano da affanni
nell'isole dei beati presso Oceano dai gorghi profondi,
felici eroi ai quali dolce raccolto
tre volte in un anno, abbondante, produce il suolo fecondo,
lontano dagli immortali, ed hanno Crono per re;

Zeus, poi, pose un'altra stirpe di uomini mortali
dei quali, quelli che ora vivono...
Avessi potuto io non vivere con la quinta stirpe
di uomini, e fossi morto già prima oppure nato dopo,
perché ora la stirpe è di ferro; né mai di giorno
cesseranno da fatiche e affanni, né mai di notte,
affranti; e aspre pene manderanno a loro gli dèi.
Però, anche per questi, ai mali si mischieranno dei beni.
Ma Zeus distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali
quando nascendo avranno già bianche le tempie;
allora né il padre sarà simile ai figli né i figli al padre;
né l'ospite all'ospite, né l'amico all'amico
e nemmeno il fratello caro sarà come prima;
ma ingiuria faranno ai genitori appena invecchiati;
a loro diranno improperi rivolgendo parole malvagie,
gli sciagurati, senza temere gli dèi; né
ai genitori invecchiati di che nutrirsi daranno;
il diritto starà nella forza e l'uno all'altro saccheggerà la città.
Né il giuramento sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto
o dabbene; piuttosto l'autore di mali e l'uomo violento
rispetteranno; la giustizia sarà nella forza e coscienza
non vi sarà; il cattivo porterà offese all'uomo buono
dicendo parole d'inganno e sarà spergiuro;
l'invidia agli uomini tutti, miseri,
amara di lingua, felice del male, s'accompagnerà col volto impudente.
Sarà allora che verso l'Olimpo, dalla terra con le sue ampie strade,
da candidi veli coperte le belle persone
degli immortali alla schiera andranno, lasciando i mortali,
Vergogna e Sdegno: i dolori che fanno piangere resteranno
agli uomini e difesa non ci sarà contro il male.



Esiodo, poeta greco del VII a.C., analizza il tema nel poema "Le opere e i giorni" tramite una serie di miti. In particolare mi interessa analizzare il mito "delle razze", nel quale il poeta individua cinque razze (per alcune ipotesi sulla genesi del mito stesso vedere "Mito e pensiero presso i greci" di J. Vernant), rispettivamente di oro, di argento, di bronzo, gli eroi, e la contemporanea dell'autore, di ferro.
 Ora, premessa l'evidente decadenza delle razze in parallelo col valore del metallo che le contraddistingue, bisogna considerare, secondo uno schema individuato da Vernant, il destino ultraterreno di ogni razza che è strettamente legato alle proprie azione (in qualche modo annullando l'idea di una predestinazione).
Oro e Argento ricevono onori regali, divenendo demoni rispettivamente epictònii e subtonii, divenendo i primi giudici giusti, e i secondi giudici corrotti (ma comunque giudici). Quindi possiamo identificare questa prima coppia come "onorevole", o "giusta", ricordando che i primi sono più giusti dei secondi.
 La seconda coppia è quella Bronzo-Eroi. I primi li inghiottì la terra (dunque morirono senza futuro) e i secondi vivono nelle isole dei Beati, senza interagire con gli uomini. Questa seconda coppia è caratterizzata dalla " hubris", la tracotanza, per quanto i primi più dei secondi.
 Se si analizzano le attività che ogni razza svolgeva in vita si intende che Oro onorava gli dei e spartiva i beni, Argento non rispettava gli dei e non usciva dalla casa della madre (da notarsi anche che  Oro non conosce quasi fanciullezza e ignora la vecchiaia). Bronzo ed Eroi sono entrambi dediti all'attività belluina, e infatti non furono uccisi da Zeus, ma si uccisero con le proprie mani.

Ma occorre ritornare coi piedi per terra, e andare coi piedi di piombo. Torniamo alla "nostra" età, quella del ferro-cemento.
Posto che come dicono sia Omero che Gadda "non ci sono più gli uomini di una volta" (o mores, o tempora!) e che quindi il passato è sempre migliore, come d'altronde i suoi protagonisti, non possiamo che ispirarci ai migliori di loro nel vivere la quotidianità.
L'età del ferro-cemento è caratterizzata dalla possibilità di poter scegliere: dike o hubris (giustizia o slealtà).
Non è il paradiso, che promette il poema, ma un'esistenza degna di essere vissuta. E nel poema, come si evince già appunto dal testo, dal lavoro non può che provenire il bene, la Giustizia.


L’ozio, Catullo, ti è dannoso;
per l’ozio ti esalti e troppo smanii.
L’ozio ha mandato in rovina re e città
un tempo felici.
                       (carme LI, Catullo)

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