di Fabio Boffelli
(a cura di Dennis Salvetti)
A seguire un divertente "articoletto economico-sociale" che pone l'accento su una visione più ampia e critica di quella sigla, il PIL, che da lungi, molto tempo, ci ossessiona e che giornali e (più o meno) esperti non mancano mai (dico mai!) di sottolineare, evidenziare, insomma mettere in rilievo, come se la felicità del mondo potesse essere misurata da un asettico e impassibile numeretto. Spiegare cosa c'è dietro questa sigla e rapportarla ad altri dati, permetterebbe certamente di avere una visione più ampia e (forse) completa dello sviluppo economico, sociale e culturale di un Paese. Sicuramente più di quanto non possa fare un numero, sbattutoci in faccia senza tante spiegazioni.
In questo periodo si sente parlare ogni giorno di economia. Una delle preoccupazioni principali riguarda giustamente il PIL, che per il momento non aumenta (anzi). In effetti se il PIL aumenta il Paese è in crescita, e se il Paese è in crescita il tenore di vita diviene più elevato, e se questo accade siamo tutti più felici. E’ vero? Nì.
Mi permetto di fare un paragone con la statistica, che credo renda bene l’idea. Se vi dicessi che questa sera per cena io e il mio amico Giuseppe mangeremo mediamente un pollo a testa, sembrerebbe un pasto soddisfacente per entrambi. Ma se ora vi dicessi che entrambi i polli li mangerò io? Bè, la mia asserzione iniziale sarebbe ancora corretta! Questo non significa che la media sia un cattivo indice, bensì che da solo non è in grado di descrivere appieno la realtà.
Con il PIL le cose non vanno molto diversamente, anzi. Un PIL in aumento è sinonimo di crescita, ma di quale crescita stiamo parlando? Di quella economica, naturalmente. E’ fatto condiviso che la crescita economica traini la crescita sociale, il benessere, la civiltà… Ma le cose staranno proprio così? A dire il vero no. Il PIL non si interessa minimamente del livello delle relazioni sociali di un Paese, non si accorge se il cittadino è sano, acculturato, se si sente parte di una comunità e vive in comunione con essa, se il tasso di inquinamento ambientale è insostenibile, se continuando in una certa direzione l’ecosistema arriverà al collasso… e potremmo continuare così indefinitamente. Vi faccio notare un paradosso: l’inquinamento per il PIL è un “beneficio” doppio: prima quando si produce inquinando, poi quando si attua il processo di depurazione. Esattamente come nell’esempio dei polli, però, non bisogna pensare che il PIL ci stia ingannando. Bisogna solo imparare a dargli il giusto peso. Il PIL continua ad essere un indice fondamentale per l’economia, ma spesso si tende a intravedere erroneamente lo sviluppo sociale attraverso l’incremento di quel numerino, che in fondo descrive solo una realtà parziale.
Nel Bhutan, uno staterello localizzato sulla catena dell’Himalaya, questa lezione è stata appresa fin troppo bene. Qui da qualche anno il re ha fatto creare un nuovo indice, il FIL (Felicità Interna Lorda), che tiene conto della soddisfazione di una vasta gamma di bisogni: materiali, sociali, spirituali, culturali... Senza andare così lontano si possono trovare diversi altri indici che sono stati formulati per descrivere il grado di soddisfazione dei cittadini di una nazione. Vi segnalo il GPI (Genuine Progress Indicator), apparso per la prima volta nel 1995 negli USA, l’Happy Planet Index (che misura la capacità di una nazione di ottenere benessere dalle risorse) e soprattutto l’HDI (Human Development Index), nato nel 1990 e riportato annualmente per ogni Paese nello Human Development Report delle Nazioni Unite. Esso tiene conto di reddito pro capite, aspettativa di vita e grado di educazione. Non è certo sorprendete scoprire che la classifica mondiale dei soli redditi è ben differente da quella degli HDI.
Allora che ne è del nostro modello per cui la crescita economica va di pari passo con la soddisfazione del Paese? E’ tutto da buttare? No, ma va interpretato in modo accurato, e non semplicistico. Per un Paese estremamente povero la crescita economica è davvero sinonimo di forte crescita della soddisfazione del popolo. Pian piano però che l’economia cresce e i cittadini possono permettersi sempre maggiori beni materiali, che superano ampiamente quelli di prima necessità, la relazione crescita-soddisfazione va scemando. Oltre un certo livello di soddisfazione dei beni materiali la cosa maggiormente desiderabile per le persone non è proseguire in questa direzione, ma soddisfare bisogni di altro genere (coesione della collettività, relazioni sociali, istruzione, sostenibilità ambientale…). Oggi esistono diversi neonati filoni di economia non mainstream che tentano di includere nei loro modelli questi fattori, fino ad ora ampiamente sottovalutati. Non possiamo che sperare nel loro successo, ma intanto è bene sapere che esistono e per quale ragione. Questo ci permette di comprenderli e supportarli, ma anche di guardare agli indici con cui veniamo quotidianamente bombardati con occhio più attento e critico.
Mi permetto di fare un paragone con la statistica, che credo renda bene l’idea. Se vi dicessi che questa sera per cena io e il mio amico Giuseppe mangeremo mediamente un pollo a testa, sembrerebbe un pasto soddisfacente per entrambi. Ma se ora vi dicessi che entrambi i polli li mangerò io? Bè, la mia asserzione iniziale sarebbe ancora corretta! Questo non significa che la media sia un cattivo indice, bensì che da solo non è in grado di descrivere appieno la realtà.
Con il PIL le cose non vanno molto diversamente, anzi. Un PIL in aumento è sinonimo di crescita, ma di quale crescita stiamo parlando? Di quella economica, naturalmente. E’ fatto condiviso che la crescita economica traini la crescita sociale, il benessere, la civiltà… Ma le cose staranno proprio così? A dire il vero no. Il PIL non si interessa minimamente del livello delle relazioni sociali di un Paese, non si accorge se il cittadino è sano, acculturato, se si sente parte di una comunità e vive in comunione con essa, se il tasso di inquinamento ambientale è insostenibile, se continuando in una certa direzione l’ecosistema arriverà al collasso… e potremmo continuare così indefinitamente. Vi faccio notare un paradosso: l’inquinamento per il PIL è un “beneficio” doppio: prima quando si produce inquinando, poi quando si attua il processo di depurazione. Esattamente come nell’esempio dei polli, però, non bisogna pensare che il PIL ci stia ingannando. Bisogna solo imparare a dargli il giusto peso. Il PIL continua ad essere un indice fondamentale per l’economia, ma spesso si tende a intravedere erroneamente lo sviluppo sociale attraverso l’incremento di quel numerino, che in fondo descrive solo una realtà parziale.
Nel Bhutan, uno staterello localizzato sulla catena dell’Himalaya, questa lezione è stata appresa fin troppo bene. Qui da qualche anno il re ha fatto creare un nuovo indice, il FIL (Felicità Interna Lorda), che tiene conto della soddisfazione di una vasta gamma di bisogni: materiali, sociali, spirituali, culturali... Senza andare così lontano si possono trovare diversi altri indici che sono stati formulati per descrivere il grado di soddisfazione dei cittadini di una nazione. Vi segnalo il GPI (Genuine Progress Indicator), apparso per la prima volta nel 1995 negli USA, l’Happy Planet Index (che misura la capacità di una nazione di ottenere benessere dalle risorse) e soprattutto l’HDI (Human Development Index), nato nel 1990 e riportato annualmente per ogni Paese nello Human Development Report delle Nazioni Unite. Esso tiene conto di reddito pro capite, aspettativa di vita e grado di educazione. Non è certo sorprendete scoprire che la classifica mondiale dei soli redditi è ben differente da quella degli HDI.
Allora che ne è del nostro modello per cui la crescita economica va di pari passo con la soddisfazione del Paese? E’ tutto da buttare? No, ma va interpretato in modo accurato, e non semplicistico. Per un Paese estremamente povero la crescita economica è davvero sinonimo di forte crescita della soddisfazione del popolo. Pian piano però che l’economia cresce e i cittadini possono permettersi sempre maggiori beni materiali, che superano ampiamente quelli di prima necessità, la relazione crescita-soddisfazione va scemando. Oltre un certo livello di soddisfazione dei beni materiali la cosa maggiormente desiderabile per le persone non è proseguire in questa direzione, ma soddisfare bisogni di altro genere (coesione della collettività, relazioni sociali, istruzione, sostenibilità ambientale…). Oggi esistono diversi neonati filoni di economia non mainstream che tentano di includere nei loro modelli questi fattori, fino ad ora ampiamente sottovalutati. Non possiamo che sperare nel loro successo, ma intanto è bene sapere che esistono e per quale ragione. Questo ci permette di comprenderli e supportarli, ma anche di guardare agli indici con cui veniamo quotidianamente bombardati con occhio più attento e critico.
2 commenti:
Interessante ed accurato, mi ripota alla mente i Movimenti di Decrescita Felice ispirati dal saggista Dominique Lapierre.
Ecco il link del comitato nazionale MDF:
http://decrescitafelice.it/
Il Pil è indiscutibilmente l'indice economico l'indice più corretto per misurare la produzione di uno stato; va da sè che assumendo tale importanza troppo spesso maschera e nasconde il reale tenore di vita delle popolazioni interessate. Il caso Cina è ecclatante: Pil alle stelle da una parte, sfruttamento, inquinamento sfrenato, povertà e scarse libertà dall'altra. A questo punto viva la crescita sostenibile!
Posta un commento