-

lunedì 29 ottobre 2012

La Leva del Progresso [parte seconda]


di Andrea Fasolini

leggi anche: La leva del progresso [parte prima]

Il forte centralismo politico e il marcato disinteresse per l'innovazione tecnologica, impedì ai romani di avvalersi delle maggiormente floride e creative menti dei popoli a loro sottomessi, quali i celti e i germani, che, invece di sfruttare, tentarono di egemonizzare con la propria cultura. Nonostante ciò, la superiorità delle suddette popolazioni si espresse proprio a seguito della caduta dell'Impero romano d'Occidente: mentre la latina Bisanzio rimaneva saldamente ancorata alla tradizionale cultura umanistica, tecnologicamente sterile, l'incontro tra la cultura romana e i popoli barbari portò grandi innovazioni in Europa occidentale. 
Un altro grande vento d'innovazione stava, già secoli prima della caduta dell'Impero, investendo l'Europa: il cristianesimo. Tale religione, diffusasi in tutti i territori occupati dai romani, reinterpretò il rapporto uomo-ambiente in una chiave maggiormente antropocentrica. Come sottolineò lo storico K.D. White, considerare l'uomo quale "collaboratore creativo" dell'opera divina, contribuì a gettare le basi per il futuro sviluppo tecnologico europeo: la natura divenne qualcosa di indagabile, conoscibile e dominabile. Promotori di tale cambiamento furono proprio gli ordini monastici; primo tra tutti, l'Ordine dei benedettini che, grazie alle regole scritte nel 530 dal proprio fondatore San Benedetto, elevò per la prima volta il lavoro a virtù, declassando l'otium, tanto caro ai romani, a nemico dell'anima. Proprio la figura del monaco, "primo intellettuale a sporcarsi le mani" a detta di White, fu il primo esempio di fusione tra teoria e pratica. Sempre secondo lo storico, quando gli intellettuali compresero la fatica del lavoro, appresero la necessità di sostituire la forza muscolare con quella meccanica: nel XII secolo, i monaci vittorini inclusero la Meccanica tra le fonti di utili conoscenze e intorno al 1220 Teofilo stese il primo trattato medievale sulla tecnologia.
Iniziò così una proficua collaborazione tra la classe produttiva e quella colta, testimoniata dai grandi trattati di ingegneria dell'epoca, e favoriti dalla diffusione della stampa. Ovviamente, oltre a quelle religiose, intervennero anche cause polico-sociali a favorire lo sviluppo tecnologico: a differenza dei contadini greco-romani, quelli medievali detenevano una grande autonomia sulle terre concesse loro dal feudatario. Una volta adempiuti i propri oneri nei confronti del padrone, potevano disporre liberamente delle coltivazioni, trattenendo molto spesso i proventi di un'eventuale abbondante produzione. Possono così essere spiegate innovazioni quali la sostituzione dell'aratro trainato da buoi con quello trainato da cavalli, introdotto proprio in questo periodo.
Tuttavia, tali condizioni non possono, in assenza di altri fattori, aver generato l'incredibile sviluppo tecnologico dell'Occidente rispetto a quello dell'Europa orientale: il misticismo e la contemplazione dei loro monaci, così come lo scisma tra scienza e religione islamica, decretato nel XII secolo dal filosofo al-Ghazzali, non sono sufficienti a giustificare tale divario.
La risposta al quesito va ricercata nella frammentazione politica dell'Europa occidentale: come suggeriscono Rosenberg e Birdzell, il feudalesimo favorì la nascita di un radicato pluralismo in Europa, che sopravvisse anche dopo la nascita degli stati nazionali. I sovrani, infatti, temendo che le innovazioni tecnologiche potessero portar giovamento ai propri vicini, minacciando conseguentemente la propria sicurezza, incentivarono l'afflusso di tecnici e scienziati, provenienti anche da paesi extra-nazionali, nei propri regni. Questo decretò, a lungo termine, l'ascesa di paesi quali l'Olanda e l'Inghilterra, più inclini all'innovazione, ed il tramonto di potenze come la Spagna e l'Impero ottomano. E' infatti storicamente provato, come afferma lo storico Cardwell, che le civiltà raggiungono periodicamente il proprio punto di massima creatività, tendendo successivamente ad un inesorabile regresso. Proprio in questo punto l'Europa si distinse: il fitto tessuto di rapporti e flussi di idee tra le varie entità nazionali, evitò che il declino di un'unica civiltà provocasse una stagnazione tecnologica; contrariamente, le potenze emergenti ereditarono il "testimone" da quelle in difficoltà, facendosi promotrici di progresso e innovazione. Ovviamente, eccedere con la competizione politica può portare a conflitti: la crescente smania di potere portò, agli inizi del XX secolo,l a Germania a sfidare l'egemonia inglese sui mari e quella russa nei balcani. L'epilogo è noto tutti: dieci milioni di morti. Tuttavia, trovare il sottile equilibrio tra progresso e competizione sembrerebbe essere la migliore tra le ipotesi per favorire lo sviluppo.

Nessun commento:

Recenti