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sabato 26 gennaio 2013

STORIA AL SEMAFORO

di Sara L.
Ore 18.15, un giovedì sera come tanti altri. Sono appena uscita dal lavoro e sto tornando a casa. In Via Carducci c'è la solita colonna più o meno scorrevole, arenata tra un semaforo e l'altro.
Sono un po' nervosa. È stata una giornata pesante e quel deficiente davanti a me ha fatto un paio di zig zag decisamente azzardati tra le macchine, riuscendo a piazzarsi davanti alla mia Bontina, sporchissima al contrario della sua fiammante station wagon, guadagnando quelli che per lui devono essere 10 metri davvero fondamentali.
Il primo semaforo dopo la rotonda è rosso: puntuale come ogni sera, un venditore di rose si avvicina alle macchine in coda. Lo conosco, ormai, si può dire: lo vedo tutti i giovedì e venerdì, abbiamo imparato a riconoscerci. Non so il suo nome, intuisco che è pachistano o indiano, neanche lui sa il mio ma ha una certezza: in due anni che passo da lì non gli ho mai comprato una rosa, ma gli ho sempre negato il mio contributo con un sorriso, e lui l'ha sempre accettato con un “ciao”... d'estate poi, col finestrino giù, l'interazione talvolta viene anche essere arricchita da un “ciao, come va?”.

Sta per arrivare alla mia macchina, ma prima offre una rosa al fenomeno davanti a me, chiuso nella sua macchina fiammante e nella sua mente ristretta. La scena si svolge in pochi secondi: il ragazzo si china verso il finestrino e il guidatore (lo vedo benissimo da dietro), dopo averlo guardato, fa un gesto col braccio mandandolo al diavolo e urlandogli contro qualcosa. Non so cos'abbia detto, il volto del venditore di rose non sembrava neanche particolarmente colpito dalla maleducazione del conducente... quante volte gli sarà capitato di subire lo stesso trattamento?
Il semaforo è verde: si riparte. Proseguo verso casa, ma nei miei occhi ci sono ancora quelli del venditore di rose. Poco dopo, per uno strano gioco del caso, dal mio cd parte questo pezzo.


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