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sabato 9 febbraio 2013

Siamo ciò che compriamo

di Andrea Fasolini

Nel pieno dell'internazionalizzazione del commercio mondiale, i consumatori occidentali attribuiscono sempre maggior risalto alla componente qualitativa della merce acquistata, specialmente se d'importazione. Le scelte concernenti l'abbigliamento spesso ricadono su grandi e noti marchi, associati ad un'alta qualità del prodotto. Tuttavia, neppure i giganti della moda sono in grado di assicurare la tanto famigerata qualità, ad essi associati.

Il 20 novembre 2012 Greenpeace ha presentato a Pechino il rapporto Toxic threads, rivelando che venti marchi d'abbigliamento mondiali usano sostanze chimiche nocive per la produzione dei loro vestiti.

Tra i marchi coinvolti troviamo Gap, Calvin Klein, Giorgio Armani, Disel, H&M, Levi's, Zara.Nei tessuti sono state trovate sostanze cancerogene e molecole che causano disfunzioni del sistema riproduttivo. Anche se non è provato che tali sostanze siano dannose per chi indossa i capi, lo diventano quando finiscono nell'ambiente.

Oggi la maggior parte dei marchi coinvolti ha assicurato che smetterà di utilizzare tali sostanze nella produzione dell'abbigliamento. Tuttavia, tali notizie dovrebbero metterci in guardia e farci riflettere sulla sicurezza, forse eccessiva, con cui ci affidiamo a certi marchi, confidando semplicemente della loro fama.

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