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sabato 30 marzo 2013

O.P.G.: Oppure Possiamo Gestirlo



di Sara L.


“la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”
(Costituzione italiana, art. 32 e art. 27)

Per il rotto della cuffia: metodologia frequente della programmazione del lavoro inerente le tematiche sociali, dal piccolo Comune, fino ai più alti livelli. Ultimo ed eclatante esempio? Il Decreto legge n. 24 del 25 marzo 2013, ovvero il provvedimento attraverso il quale il Governo ha rinviato il termine di attuazione delle norme sugli OPG, con le modifiche apportate alla legge 9/2012. In buona sostanza, anche se in termini un po' semplicistici, si rinvia di un anno la scadenza fissata poco più di un anno fa per il 31 marzo 2013, termine entro il quale dovevano essere chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Ma risaliamo alla ratio di questa chiusura, o meglio, ancor prima chiediamoci cosa sono gli OPG e cosa servono.

In Italia ci sono 6 OPG: Montelupo Fiorentino (FI), Aversa (CE), Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto (ME), Castiglione delle Stiviere (MN), l'unico con il reparto femminile. Essi sono destinati ad accogliere (ironia del termine) coloro che abbiano compiuto un reato e al contempo siano affetti da patologia psichiatrica con un alto profilo di pericolosità sociale.
Alla fine del 2009 queste strutture contenevano circa 1300 persone, gli “internati” come vengono chiamati dagli addetti ai lavori. Difficile capire come gli OPG si possano integrare con la cultura della psichiatria post legge 180, infatti difficilmente si integrano in quest'ottica. Gli OPG rappresentano da un lato il fallimento della psichiatria riformata, dall'altro sono per essa un vero sollievo: costituiscono infatti la discarica delle discariche, il luogo dove affossare, internare e poi dimenticare gli esperimenti falliti della pratica psichiatrica, dell'azione socio-educativa, il contesto in cui istituzionalizzare i “casi persi”, di fronte ai quali il professionista alza le braccia e si arrende.

Ma quale soluzione proporre a seguito della chiusura degli OPG? A mio avviso, in accordo con le più importanti associazioni nazionali degli operatori della psichiatria, la strategia non è certamente la regionalizzazione degli stessi, come proposto in passato dal Governo: l’alternativa agli OPG non  può certo essere la costituzione di “mini-manicomi regionali”. Per abolire definitivamente gli OPG, terribili residui della logica manicomiale che prevede un trattamento speciale per i “folli autori di reato”, occorre cambiare il codice penale, investendo i fondi previsti per la tale infausta trasformazione nel potenziamento dei servizi di salute mentale delle ASL. Tale pensiero, per me operatrice, consegue ad un ragionamento molto semplice: se da un anno a questa parte, sull'onda della prevista chiusura e dell'azione di qualche parlamentare particolarmente illuminato come Ignazio Marino, sono stati rilasciati circa 100 internati, quali sono le strategie adottate nei loro confronti? Che ne è stato di loro? Da chi e dove sono curati oggi? A logica e a buon senso, l'eventualità più probabile è che siano stati presi in carico dai Centri di Salute Mentale di competenza territoriale. E allora: quanto dovrà continuare ancora la folle, inumana e antica logica degli OPG?

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