di Dennis Salvetti
“Un altro esempio di “invito” rimasto sinora inascoltato
è quello contenuto nella sentenza n. 138 del 2010. In tale pronuncia la Corte
ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano
l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel
contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il
«diritto fondamentale» di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi
diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento
la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni.”
Riferendosi alle questioni di diritto rimaste inascoltate
dal legislatore (e si osservi che la scorsa legislatura è stata, a mio avviso ovviamente, sicuramente
la peggiore della storia repubblicana), è interessante leggere come il presidente della Corte Costituzionale, nel fare un bilancio
del passato anno giudiziario della Corte, rilevi che importante questione di
diritto tutt’ora inevasa e tralasciata nelle discussioni, o quantomeno accantonata nelle "cose non necessarie ora" (anche data la
situazione turbolenta degli organi politici e dell’opinione pubblica), sia,
appunto, il diritto alle coppie dello stesso sesso ad unirsi in forme tutelate
di convivenza (bisogna rilevare che anche la mera convivenza di fatto di
persone di diverso sesso è tutelata in particolare dalla giurisprudenza, più
che in generale dal legislatore, in un ritardo mostruoso anche e soprattutto guardando agli
altri Stati europei).
Ma,
andando a leggere la citata sentenza 138 del 2010, si
legge che, nonostante il riconoscimento di diritti in via astratta (“[…] la
norma implicita che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio
con persone dello stesso sesso, così seguendo il proprio orientamento sessuale
(non patologico né illegale), non ha alcuna giustificazione razionale, […]”; “[…]
Le opinioni contrarie al riconoscimento [del matrimonio omosessuale] sulla base
di ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura, non potrebbero essere
condivise, sia per le radicali trasformazioni intervenute nei costumi
familiari, sia perché si tratterebbe di tesi pericolose, in passato utilizzate
per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime, […]”; “[…] Sarebbero
prive di fondamento, quindi, le tesi che giustificano l’implicito divieto di
matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati
alla capacità procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. […]”;
“ […][l’art. 29 Cost.] nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale
alla famiglia legittima, non costituirebbe un ostacolo al riconoscimento
giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anzi dovrebbe
assurgere ad ulteriore parametro in base al quale valutare la costituzionalità
del divieto. […]”, basato sulla lettura dei rimettenti, il tribunale di Venezia
e la Corte d’Appello di Trento ordd. 177 e 248/2009, che ritengono illegittime alcune
norme del codice civile), rimane una pronuncia piuttosto insoddisfacente, visto
che non risolve nel concreto il problema giustificando il rigetto della
questione su tutti i parametri avanzati del rimettente (“[…] presupposto che
l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento
italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna. […]”,
art. 2 “[…] Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale
riconoscimento [il riconoscimento giuridico delle unioni] […] possa essere
realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al
matrimonio. […]”, 3 e 29 “[…]la norma non prese in considerazione le unioni
omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale
di detto istituto. [si riferisce al modello del
codice civile del 1942 che aveva il costituente] […]” “[…]la censurata
normativa del codice civile […]non può considerarsi illegittima sul piano
costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost.,
sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole
discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute
omogenee al matrimonio. […]” e 117co1 “[…] [si riferisce alla complessa
legislazione europea in materia, che rimanda sostanzialmente al legislatore
nazionale il compito di occuparsene] […]” Cost.) lavandosene le
mani (“[…] spetta al Parlamento,
nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di
garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla
Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche
situazioni […]”), nonostante nei decenni di vita della Corte si possano
registrare interventi anche piuttosto fantasiosi (si vedano le innumerevoli sentenze interpretative o manipolative).
Nonostante l’insoddisfazione che può derivare dalla
lettura di una simile sentenza, resta comunque un importante monito al
legislatore affinché agisca e regoli una materia che non può più rimanere ignorata,
indirizzando oltretutto il legislatore verso il principio di eguale trattamento
delle coppie eterosessuali ed omosessuali.
Il testo della sentenza 138/2010
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