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domenica 14 aprile 2013

I diritti NON possono aspettere


di Dennis Salvetti

Un altro esempio di “invito” rimasto sinora inascoltato è quello contenuto nella sentenza n. 138 del 2010. In tale pronuncia la Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il «diritto fondamentale» di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni.

Riferendosi alle questioni di diritto rimaste inascoltate dal legislatore (e si osservi che la scorsa legislatura è stata, a mio avviso ovviamente, sicuramente la peggiore della storia repubblicana), è interessante leggere come il presidente della Corte Costituzionale, nel fare un bilancio del passato anno giudiziario della Corte, rilevi che importante questione di diritto tutt’ora inevasa e tralasciata nelle discussioni, o quantomeno accantonata nelle "cose non necessarie ora" (anche data la situazione turbolenta degli organi politici e dell’opinione pubblica), sia, appunto, il diritto alle coppie dello stesso sesso ad unirsi in forme tutelate di convivenza (bisogna rilevare che anche la mera convivenza di fatto di persone di diverso sesso è tutelata in particolare dalla giurisprudenza, più che in generale dal legislatore, in un ritardo mostruoso anche e soprattutto guardando agli altri Stati europei).
Ma,
andando a leggere la citata sentenza 138 del 2010, si legge che, nonostante il riconoscimento di diritti in via astratta (“[…] la norma implicita che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, così seguendo il proprio orientamento sessuale (non patologico né illegale), non ha alcuna giustificazione razionale, […]”; “[…] Le opinioni contrarie al riconoscimento [del matrimonio omosessuale] sulla base di ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura, non potrebbero essere condivise, sia per le radicali trasformazioni intervenute nei costumi familiari, sia perché si tratterebbe di tesi pericolose, in passato utilizzate per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime, […]”; “[…] Sarebbero prive di fondamento, quindi, le tesi che giustificano l’implicito divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacità procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. […]”; “ […][l’art. 29 Cost.] nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima, non costituirebbe un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anzi dovrebbe assurgere ad ulteriore parametro in base al quale valutare la costituzionalità del divieto. […]”, basato sulla lettura dei rimettenti, il tribunale di Venezia e la Corte d’Appello di Trento ordd. 177 e 248/2009, che ritengono illegittime alcune norme del codice civile), rimane una pronuncia piuttosto insoddisfacente, visto che non risolve nel concreto il problema giustificando il rigetto della questione su tutti i parametri avanzati del rimettente (“[…] presupposto che l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna. […]”, art. 2 “[…] Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento [il riconoscimento giuridico delle unioni] […] possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. […]”, 3 e 29 “[…]la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto. [si riferisce al modello del  codice civile del 1942 che aveva il costituente] […]” “[…]la censurata normativa del codice civile […]non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio. […]” e 117co1 “[…] [si riferisce alla complessa legislazione europea in materia, che rimanda sostanzialmente al legislatore nazionale il compito di occuparsene] […]” Cost.) lavandosene le mani (“[…] spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni […]”), nonostante nei decenni di vita della Corte si possano registrare interventi anche piuttosto fantasiosi (si vedano le innumerevoli sentenze interpretative o manipolative).
Nonostante l’insoddisfazione che può derivare dalla lettura di una simile sentenza, resta comunque un importante monito al legislatore affinché agisca e regoli una materia che non può più rimanere ignorata, indirizzando oltretutto il legislatore verso il principio di eguale trattamento delle coppie eterosessuali ed omosessuali.

Il testo della sentenza 138/2010

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