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mercoledì 29 maggio 2013

La Questione Culinaria

di Vicky Rubini

Riso. E non c’è niente da ridere.

In Thailandia si mangia: riso. Non ci sono *cavoli, riso c’è e riso si mangia, poche storie. “E finiscilo tutto! Pensa ai bambini italiani che non hanno da mangiare!” (purtroppo non fa così ridere).
Devo aver già detto che “mangiare” in thailandese si traduce con “mangiare riso” (sempre che non diciate “mangiare lui, o ginocchio o mia zia” (che si chiama “Riso”) nel dire “khao” = riso).
Ma la gastronomia thailandese ha un’altra particolarità: non conoscendo il burro (ahimè) si *ungono* di olio, e neanche di oliva!, da capo a piedi, e lo riutilizzano più e più volte, fino a ricavarne una miscela esplosiva; a quel punto la danno ai cani. O agli stranieri, vendendola per una preziosissima reliquia orientale. (Il che può anche essere vero visto che è in giro da generazioni e degenerazioni perse nei secoli dei secoli).
Una terza particolarità è il loro eccletismo saporifero: nella stessa brodaglia puoi imbatterti in peperoncino piccante (ne mettono una barca e poi si incazzano perché “è piccante!”), zucchero per compensare il piccante, salsa di ostriche, oggetti da cucina, calamari giganti, pepe, erbe di ogni forma, colore e dimensione, gatti e uova. E olio. E riso. Prima si mangia il dolce, ma contemporanenamente la frutta e il secondo, poi mentre assaggi l’antipasto stai finendo il primo e stai stuzzicando l’aperitivo di ieri. A volte è davvero frustrante per noialtri vedere un thailandese che *siriempielapancia* (non la chiami mangiare quella roba lì!).
Non esiste il concetto di “il mio piatto”; esistono grossi piatti da portata (accuratamente addobbati in modo che la parte dell’occhio compensi quella dello stomaco; e del fegato) da cui si attinge sbocconcellando alla bell’e meglio (il che è terrificante). Non si beve. O meglio, si beve alla fine, quando non hai più neanche la forza di implorare una spruzzata di acqua fresca mentre evàpori per il piccare molestissimo.
Non hanno il forno, dunque sognatevi qualsiasi tipo di torta, pane, e tutte le altre cose che hanno a che fare con un forno. Il “dolce” è nel 99% dei casi qualsisicosa affondata, intingolata, annaffiata di, inzuppata, ricoperta, immersa, affogata, spruzzata, intrisa, galleggiante su, sul fondo di, LATTE DI COCCO.
Un altro particolare inquietante è che è molto nobilmente vietato toccare il cibo con la mano sinistra. Perché? Perché non usano la carta igienica, ecco perché.

No, davvero.

Ma veniamo a un breve elenco di prelibatezze tipiche di qui.
- (famigerate) Cavallette fritte = buone. Sanno di fritto, un po’ piccanti, poi potete scegliere (se siete veloci abbastanza da farlo) di NON metterci 1 quintale di pepe;
- Scorpioni fritti = buoni, ma si incastrano tra i denti e non li togli più (peggio di un sarpino e il suo dizionario). Assicuratevi che siano davvero morti;
- Vermi fritti = beh, alla fine sono proteine. Fritte;
- Carne di cane = lo so lo so, adesso arriverà qualche animalista cornuto a dire “Rollati un canna fratello! No cioè, c’èèè dai, i caniii”; comuqnue per tutti gli interessati sa di... cane, credo;
- Carne di gatto = leggi sopra;
- Pitone in umido = probabilmente uno dei manicaretti più saporiti che abbia mai assaggiato; lo fanno saltare sulla brace (e come, che non ha le zampeeee?!?!) e poi lo fanno in casseruola con una foglia di basili(s)co.

No, scherzi a parte (ho assaggiato solo le cavallette, e solo due, e non ero neanche (troppo) ubriaco!), se siete vegetariani e soprattutto se siete italiani, statevene a casa, fatevi ‘sto favore.
Poi ci sono alcuni piatti che alla lunga poi non ci fai più caso quando li butti giù; insalata di papaya (veramente buona, ma piccantissima!), noodles (spaghetti di riso in brodo), pad thai...

Questo è l’ultimo articolo del portale Thailandia. E uso le ultime righe per qualche considerazione finale che condivido con voi, cari lettori. Ho odiato questo paese fino al midollo (mio e suo), per una lunga serie di sfortunati eventi di cui la Thailandia non aveva colpa. E ora che sto per partire sento che sarà difficile riabituarmi alla *nostra* logica così... furiosa, imperfettamente precisa. Sarà difficile tenere le scarpe anche in classe, o in casa, o nei negozi. Sarà ancora più difficile non cercare di capire un fratello extracomunitario, solo in un paese che non è il suo. Sarà difficile guardare certi sprechi quando hai visto i coltivatori di riso. Sarà difficile, ora, darsi per vinti. Sarà difficile dire “sono di Bergamo”, ma sarà bellissimo dire “sono italiano”.
E’ stata un’esperienza davvero forte. In tutti i sensi. Ma se posso permettermi di darvi un consiglio serio, una volta tanto, è questo: non esistono giusto e sbagliato, esiste solo diverso. Non storcete il naso davanti a una cultura che non capite, davanti a un atteggiamento che non è il vostro, o un’idea. E viaggiate.

E’ un bel modo per dire Libertà.

PS
per tutti quelli che credono, o hanno creduto di non farcela: resistere, resistere, restistere [...] fino alla vittoria, sempre!

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