-

martedì 20 marzo 2012

Se il razzismo si nasconde nella burocrazia


Tempo fa ho trovato questo interessante scambio di opinioni su un settimanale (ahimè) molto poco serio, "la Repubblica delle donne", quantomeno ho scoperto che non sempre tutti i giornali notoriamente stupidi pubblicano solo cose stupide. Buona lettura!
"Come ogni anno tre mesi fa la mia libreria, in vista del periodo natalizio, ha aperto dei rapporti di collaborazione della durata inferiore a 30 giorni. Quest'anno la novità era quella di scegliere come collaboratore un extracomunitario: ventenne, in possesso di regolare permesso di soggiorno, di documento d'identità, residente in Italia e iscritto all'università.
E allora dove stava il problema, in questo paese che favorisce l'intraprendenza e la laboriosità degli stranieri regolari e la buona volontà degli imprenditori che desiderano agire in modo regolare e trasparente? Il problema stava nel fatto che nel caso di persona extracomunitaria con permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio è necessario che la collaborazione non ecceda le 20 ore settimanali di lavoro e che del lavoratore straniero nel caso commetta un reato che lo prevede come pena accessoria.
Però non è finita: nel caso in cui mi fossi avventurata era pure necessario presentare la certificazione della conformità alloggiativa, perchè una persona straniera non può lavorare in Italia se non dispone di un certificato di conformità, rilasciato dalla ASL locale, che attesta come il suo alloggio sia a norma. Non male: finalmente disposizioni tese a verificare che lo straniero non viva in uno scantinato. Peccato solo che a parità di condizioni (vivere in un tugurio) un cittadino comunitario o italiano possa comunque lavorare, un extracomunitario no. Niente conformità abitativa, niente lavoro.
Tutto questo è inaccettabile, soprattutto perchè tutto è perfettamente legale."
Umberto Galimberti risponde:
"Se la burocrazia discrimina l'accesso al lavoro tra un italiano e un extracomunitario in regola, allora il razzismo non è solo un sentimento che alloggia nell'animo di persone egoiste o incolte, comunque non al passo con la storia, ma diventa qualcosa di legalizzato e regolarizzato da normeche vanificano e riducono a pura retorica gli inviti alla tolleranza, all'accoglienza, all'inserimento regolare nel mondo del lavoro di quanti per disperazione giungono a noi.
Se il razzismo fosse solo un vissuto emotivo o sottoculturale di singoli individui o gruppi di popolazione, si può sempre pensare di superarlo con un'opportuna opera di acculturamento, ma se è mascherato da norme burocratiche, non solo non suscita indignazione, ma ottiene effetti molto più devastanti del disprezzo o dell'insulto.
Ma poi, queste regole da ottemperare, che lei ha incontrato funzionano in ogni parte d'Italia? Funzionano anche per quegli immigrati che raccolgono pomodori o agrumi nelle campagne dell'Italia meridionale, dove per 20 € lavorano dodici ore al giorno, alloggiando in baracche di lamiera senza acqua nè luce, ingaggiti al mattino da caporali senza scrupolie senza umanità? Lì non occorre il permesso di soggiorno, la certificazione dell'idoneitàdell'abitazione, per non parlare del codice fiscale e della carta d'identità, tanto questi extracomunitari un'identità non ce l'hanno, perchè sono cresciuti solo come forza-lavoro.
La sua lettera dice che in Italia si può incaricare la burocrazia a svolgere, con i guanti bianchi, un lavoro che soddisfa gli istinti meno nobili che albergano in ciascuno di noi, salvo poi fermarsi, in questo lavoro, là dove si incontra una forza più aggressiva e temibile della legge, come ad esempio la mafia."

Nessun commento:

Recenti