di Dennis Salvetti
Oggi, 4 novembre, si celebrano l'Unità Nazionale e le Forze Armate. Giornata originariamente creata per la celebrazione dell'orgoglio militare e il completamento dell'unificazione delle ultime "terre irredente" (Trento e Trieste) a seguito dell'armistizio di Villa Giusti che concluse la sanguinosa e rovinosa Grande Guerra. Istituita dal regime fascista, per ovvi motivi di spirito nazionalista e di autocelebrazione (è noto che gran parte dei raghi delle camice nere provenissero da quella classe piccolo borghese che durante la guerra costituiva i gruppi di "Arditi"), venne poi mantenuta in epoca repubblicana, un po' per gli stessi motivi di celebrazione dello spirito nazionale(ista), ma principalmente per ricordare tutti i caduti italiani sui fronti in guerra, con particolare riguardo agli "ignoti", i cadaveri senza nome simboleggiati dalla tomba del Milite Ignoto sepolto all'Altare della Patria. Questa giornata di celebrazione e (a parer mio) di lutto, dà occasione a politici, politicanti, giornalisti, nazionalisti e improvvisatisi tali, di far sfoggio di "grandi" doti di retorica ed oratoria, in un appassionato pulviscolo di celebrazione militare, nazionalista, ma anche di antagonismo (che tanto va di moda); un'occasione per molte teste calde (dell'una o dell'altra parte) di celebrare i propri gusti di violenza, sia per spirito nazionalista che per spirito "pacifista". Sì, perchè accanto ai "guerrafondai" (probabilmente i primi a nascondersi in caso di conflitto) ci stanno anche gli antagonisti (ovviamente, per fortuna non riguarda che una minoranza) che, pur designandosi come pacifisti, non ripugnano l'idea di "guerra di popolo" contro il "padrone". Questa giornata, invece, deve essere presa ad esempio per celebrare la fine del conflitto, il termine delle violenze causate dalle guerre, un momento di lutto per ricordare i morti in combattimento, di qualunque bandiera e di qualunque colore.
Quello che spaventa è sapere che nel mondo i conflitti armati sono numerosi, così come numerose sono le vittime. Sono forse macabramente l'unico esempio di democrazia e indiscriminazione, non risparmiando giovani e vecchi, donne e uomini, ricchi e poveri (anche se in gran parte sono le vittime designate). L'ultima scoppiata, sull'onda lunga della "Primavera Araba", è la guerra civile in Siria, che sta mettendo a rischio la precaria stabilità di una vera e propria polveriera.
Ma senza andare così lontano, senza nemmeno uscire dai confini nazionali, una guerra altrettanto sanguinosa (anche se le cifre non sono sull'ordine delle migliaia) quanto assurda, sta insanguinando i boschi italiani: la caccia. Tralasciando questioni di opinabilità di un'attività, come la caccia, che provoca la morte di migliaia di animali (non è questo l'intento dell'articolo), emerge sempre molto sommessamente nei media, e sempre quando riguarda minori, che in Italia l'attività venatoria è causa di decine di morti e feriti ogni anno. Ultime vittime "registrate" un cercatore di funghi in Calabria, un sedicenne pavese e un cacciatore bergamasco; tanto che si contano 16 morti e 48 feriti dal primo di settembre ad oggi.
Dell'argomento, purtroppo, sono (e probabilmente anche voi) poco informato. Le notizie trapelano con difficoltà dai media e, come già detto, solo quando risultano clamorose, come se la morte di un cacciatore fosse normale. Per cui consiglio a tutti di informarsi sull'argomento, anche perchè l'Italia è leader inernazionale nella produzione di armi da caccia con un giro d'affari nell'ordine di miliardi di euro. In particolare allego i link dell'inchiesta del quotidiano la Repubblica e del sito Associazione Vittime della Caccia, che approfondiscono la questione, certamente con più qualificazione e competenza rispetto ad un semplice fruitore di notizie come me.
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