di Sara L.
-Ded to noviziato 2012/2013, especially
to Jacopo-
Domenica 28 ottobre...le previsioni
sono davvero infauste: pioggia su tutto il nord e nevicate anche a
quote basse. Il primo fine-settimana di vero freddo, ottima occasione
per scegliersi un buon film, tirar fuori dall'armadio la copertina,
vestirsi comodi, farsi un the e spalmarsi sul divano: meritato riposo
al calduccio.
“Ma noi ma noi ma noi no! Bocca
chiusa mai” (cit.): a chi ci consiglia di cambiare meta non diamo
ascolto, in fondo precipitazioni ci saranno ovunque, almeno andiamo a
farci un giro un po' diverso... e poi magari lassù nevicherà. E
così alle 9.00 di quella mattina una macchina azzurra affronta la
pioggia risalendo la Val Seriana, a bordo io e 3 ragazzi di 16 anni,
per chi è avvezzo al linguaggio scout: prima uscita di noviziato
dell'anno. Percorso programmato: in auto fino a Valcanale, salita
verso il rifugio Alpe Corte, lago del Branchino, passo del Branchino
(1685 mt) e ritorno. Tra Parre e Ardesio i primi fiocchi, ma a
Valcanale sì che nevica davvero! Dopo una salita su fondo già
abbastanza scivoloso portata a termine in modo encomiabile dalla mia
puffosissima macchina, scarponi ai piedi iniziamo la salita.
E' strano quando si cammina in gruppo
in silenzio, soprattutto quando quel silenzio non è imbarazzato, non
è solcato dal non saper cosa dire, ma è intervallato solo da
pensieri e dal fiato che ti si condensa davanti in effimere
nuvolette. Per diversi tratti nessuno parla: dissipata la gran
caciara che facevamo in macchina una mezz'ora prima cantando canzoni
improbabili, il nostro respiro è coperto da una coltre di pace e
immobilità. È come se tutto si amplificasse e si attutisse allo
stesso tempo: alcuni rami già spezzati dal peso della neve, fermarsi
ad aspettare un attimo chi rimaneva indietro, sorridere aiutando
tutti insieme una famiglia di ragnetti zampalunga (nome scientifico:
aracnidus zampalungus) ad attraversare un tratto innevato senza
fermarsi per sempre causa ipotermia.
Un'oretta dopo ecco il rifugio, lì
finiscono anche le tre o quattro tracce di chi ci aveva preceduto...
evidentemente nessuno ha proseguito da quando, la notte precedente,
sono caduti i primi fiocchi. Ci affacciamo al rifugio e ci accoglie
il caloroso saluto dei rifugisti e di un paio di amici ex scout che
troviamo lì in puro stile “com'è piccolo il mondo”. Considerata
la necessità di programmare le nostre attività dei prossimi mesi e
il consiglio dei rifugisti di non proseguire, considerando che
dovremo presto porci la questione del “come liberare la mitica
Bontina” (è il nome della puffomacchina) decidiamo di fermarci per
un po' con loro, mangiamo qualcosa e alle 13.00 siamo sulla via del
ritorno. Scendendo scema (è la parola giusta) un po' la bucolica
poesia della salita e a farla da padrone sono gli scherzoni tipo
“giochiamo a scrollare l'albero e a trasformare Jacopo in pupazzo
di neve!”. La montagna, però, quel giorno aveva deciso che i
regali per noi non erano finiti: alla nostra sinistra vediamo correre
giù al galoppo da un prato una ventina di cavalli liberi, che giunti
sul sentiero davanti a noi, si acquietano e trotterellano davanti a
noi accompagnandoci fino a Valcanale. Terminato il sentiero
constatiamo ciò che già ci aspettavamo: la strada è completamente
innevata. Giunti poco dopo al parcheggio troviamo Bontina che
rabbrividisce sotto uno spesso strato di neve: bisogna liberarla e
mettere la catene, altrimenti non ci si muove. “Hai mai messo le
catene Sara?” “Mhmhmhm no, a questa macchina no! Non le ho
neanche mai tirate fuori dalla confezione! Ma saranno tutte
pressapoco uguali, VERO?!” Beh, non proprio, ma in meno di 10
minuti ce la caviamo brillantemente. Non volendo però fare completo
affidamento sul mio empirismo catenico impongo in modo deciso che
solo io sarei stata in macchina per quel primo ripido tratto! A quel
punto, che chi si fosse affacciato alla finestra avrebbe assistito ad
una scena a dir poco curiosa: sotto una fitta nevicata una macchina
azzurra con un ragazzo che camminava alla sua sinistra, una ragazza
alla sua destra e un ragazzo davanti che faceva procedere una mandria
di cavalli, emettendo versi bizzarri, probabilmente appresi in
cartoni animati tipo Heidi e Sandokan.
Arrivati a casa i nostri occhi sono
pieni di una luce particolare: è la bellezza e la gioia della prima
nevicata dell'anno, che ha sempre qualcosa di magico: non è bianco
su bianco, è bianco su verde, su marrone, sul grigio dei sassi, sul
rosso dei segnavia.
E' bianco che stupisce, che ti fa
ringraziare Dio (o il Fato o il Destino o ancora la tua Ferrea
Ostinazione) di esserti svegliato presto quella mattina e di aver
puntato i piedi per venir qui, a dispetto dei “saggi consigli” di
chi ti stava intorno e rimarcava che forse non era un'idea molto
accorta far prendere tutto quel freddo e quell'acqua ai “tuoi
ragazzi”... beh forse era l'idea più saggia invece, perchè oggi,
dopo 3 giorni bloccata sul divano da un antipaticissimo virus, io sto
sognando quella neve e quel freddo...
1 commento:
ah io vorrei tornare anche solo per un dì, lassù nella valle alpiiina! là sotto gli alti abeti ed i rododendri in fior, distendermi a terra e sognar
portami tu lassù o signor, dove meglio ti veda! Oh portami nel verde dei tuoi pascoli lassù, per non farmi scendere mai più!
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