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sabato 10 novembre 2012

Su e giù per il mondo: Paese che vai Cultura che trovi?

di Sara L.

Senza voler aprire disquisizioni di antropologia culturale e delle migrazioni, eccovi due piccoli aneddoti, frutto di un giorno di lavoro di ordinaria follia.

Ore 17.00 arrivo in comunità per il fatidico “primo colloquio” con un ragazzino senegalese di 16 anni da poco arrivato in Italia; già che ci sono, dato che noi dipendenti pubblici, si sa, siamo dei gran fannulloni, porto dei documenti e chiedo di avvisare un educatore e un altro ospite che, per discutere di un paio di cosette anche con loro. Vado nell'ufficio che utilizzo di solito e poco dopo arriva il ragazzo seguito a breve distanza dal mediatore, un ragazzo alto e sorridente, con una felpa in puro stile Bomboklat, che già mi sta simpatico a pelle (giusto per rimanere in tema). Il ragazzino, al contrario, non è affatto tranquillo: sfodero il mio sorriso più accogliente e lo saluto, mi guarda timidamente e quasi non osa sedersi. È dura farlo parlare, me ne accorgo subito... risponde con poche e misurate parole, e gli cade qualche lacrima dagli occhi. Dopo aver tentato le solite tattiche per creare un buon clima, inizio un po' a spiegargli la sua posizione giuridica: solitamente in questa fase i ragazzi si fanno attenti e i più scafati già pongono domande e sollevano richieste. Lui ascolta in silenzio, stringendosi sempre più nella sua giacca: quando gli chiedo come si trova in comunità mi risponde “Bene, sono tutti così gentili... però fa freddo”. Beh, dal Senegal all'Italia è una gran brutta escursione termica, mon ami!

Alla fine riesco a portare a galla ciò che lo fa stare così male: il mediatore mi guarda, fa un sorriso mesto e con tutta l'Africa negli occhi mi dice “Ha detto che gli manca la mamma... sono molto legati.”
Cosa dire? Come porsi, anche professionalmente, davanti a una sofferenza come questa? Eccolo lì, un ragazzino, non importa tanto da dove arriva... è a migliaia di kilometri da casa, e gli manca la mamma. Gli poggio la mano sulla spalla e gli faccio una carezza, dico che se mai lo vorrà lo aiuteremo a tornare a casa; una questione così intraculturale, così umana e antropologicamente insita in ogni essere vivente mi farà pensare per un bel po'...

Poco dopo, terminato il colloquio con il sedicenne senegalese, entra dalla porta l'altro ragazzino che attendevo. Ha il passo sicuro di chi è in Italia da un anno ormai, mi saluta col suo sorriso sincero e un po' irriverente e, da perfetto gentiluomo egiziano, mi chiede come sta la mia famiglia e come me la passo. Dopodiché controlliamo insieme alcuni documenti che dovremo inviare in tribunale e dirimiamo ancora un paio di questioni; stiamo giusto aspettando l'arrivo del suo educatore di riferimento e lui mi dice:
“Sara posso chiederti una cosa?”
(oddio, cosa mi vorrà chiedere adesso?! Spero che non tiri in ballo che sta frequentando qualche ragazzina, se no mi toccherà fargli un discorsetto di difficile gestione sul sesso sicuro...).
Niente di tutto questo, per fortuna... “Sara ma tu cosa mi dici della storia delle scimmie?”
“Che storia delle scimmie?!” (sempre più perplessa...)
“Massì quella che noi eravamo scimmie... che l'uomo arriva dalle scimmie!”
“ah!!!!! la teoria dell'evoluzione!”
“Sì! Ma secondo te è vero?”
“Beh vedi” comincio un po' incerta... “esistono diverse verità, se così le vogliamo chiamare. La scienza sostiene che l'uomo si sia effettivamente evoluto da una specie particolare di scimmie, mentre la tua religione per esempio [è cristiano], sostiene che l'uomo sia stato creato da Dio” (ovviamente dovevo semplificare, non padroneggia ancora benissimo l'italiano).
“Beh io non ci credo” dice lui “possibile che in 11 anni di scuola in Egitto nessuno mi abbia mai detto che il mio bis nonno era una scimmia!”

Storie di ordinario lavoro da assistente sociale.

P.S.:ho evitato battutacce sul fatto che secondo Borghezio “loro” (i cittadini stranieri) fossero tutt'oggi delle scimmie, mentre l'On. della Lega ha un cervello più piccolo di quello della pulce di una scimmia... sempre perché non padroneggiando la lingua (né la “cultura” politica del Belpaese) non avrebbe capito.

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