-

venerdì 30 agosto 2013

OPERATORI: STAY HUMAN


di Sara L.

Sono tempi difficili questi per lavorare nel sociale. Sono tempi difficili perchè la gente inizia ad incazzarsi davvero. Sono tempi difficili perchè sempre più gente normale vede che non arriva a fine mese e alla tv parlano solo di quando e come (e se!) verrà condannato Mr. B. Sono tempi difficili perchè non ci sono soldi per avviare progetti. “Non ci sono soldi” è proprio il leit motiv che mi ha accompagnato in questi primi tre anni di lavoro. Non ci sono soldi è la prima questione che viene mi viene sollevata, prima ancora di chiedere “perchè reputi necessario questo intervento?”.
Sono tempi difficili per chi lavora nel sociale: ma non solo per i motivi sopra esposti. Sono tempi difficili anche perchè lo stesso social worker (per utilizzare un'espressione di moda nel settore) è uomo, anzi direi più spesso donna, del nostro tempo: (uomo) donna della crisi. (Uomo) donna che la crisi la vive dentro il lavoro, ovvero sulle spalle degli utenti con cui costruisce il processo d'aiuto, e (uomo) donna che la crisi la vive nella vita privata.

Queste riflessioni, su cui rimugino già da tempo, oggi si sono arricchite di un nuovo particolare... Fin'ora pensavo esistessero sosotanzialmente due macro-categorie di social worker:
  • coloro che fanno del lavoro sociale una missione. Beh, questi devo dire non mi hanno mai convinto: la missione è tipicamente un obiettivo dato dall'esterno, per molti di coloro che appartengono a questa categoria è una missione divina, in poche parole un moderno aggiornamento della carità cristiana: delle dame di s. vincenzo con l'i-phone.
  • coloro che fanno di questo lavoro un modo per tentare di migliorare un pochino la società in cui si è immersi, o meglio la “comunità”, o meglio ancora il “territorio”. Io credo di far parte di questa categoria, la categoria di coloro che nell'agire professionale sono guidati da pochi ma solidi principi-guida, che poi sono gli stessi che troviamo nei primi articoli della costituzione e che il codice deontologico degli assistenti sociali, non a caso, richiama: uguaglianza, dignità dell'uomo, non discriminazione, diritto alla salute, tutela di coloro che sono in una condizione di debolezza, diritto all'autodeterminazione.

Negli ultimi tempi sto rilevando che ciò che sta caratterizzando il nostro tempo e rendendo così difficile fare questo lavoro ha portato allo sviluppo di una terza categoria.
Chi vi appartiene ha come primo obiettivo la sopravvivenza. Lo scopo ultimo del lavoro è portare a casa la giornata con meno casini possibili. 

C'è un minore da collocare? 
Speriamo che scappi prima. 

C'è un vecchietto che sta male e avrebbe bisogno di un rilevante intervento domiciliare? 
Speriamo che muoia prima. 

C'è un adulto psichiatrico e alcoldipendente che non ha una casa? 
E vabbeh, che ci vuoi fare... le han chiuse tutte le comunità che conoscevo adatte a un caso come il suo...

Le fila di coloro che appartengono a questa categoria si vanno ingrossando. Le file di coloro che pensano “non è un problema mio” o “tanto che vuoi farci? Non ne vale la pena” sono sempre più nutrite.
Ma dov'è l'Uomo? Dov'è l'Essere Umano, prima ancora che l'operatore? Dov'è l'etica? Dov'è un briciolo di onestà intellettuale? Dov'è la mutualità?

E' con un misto di tristezza e rabbia che oggi chiudo la settimana di lavoro. Vista l'aggiunta di questa terza categoria faccio ancora più fatica a intravedere la direzione in cui sto andando: quello che so è che non voglio farmi coinvolgere, che non voglio abbracciare questa categoria, che non diventerò complice di questo personalismo-categorismo cinico, che la filosofia del “morte tua – vita mia” ha un sapore troppo yankee per entrare mai nelle mie corde.

Stay human, è col tuo monito, Vittorio, che comincerò la prossima settimana di lavoro.


Nessun commento:

Recenti