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giovedì 25 luglio 2013

Długobór

di Miriam Bonalumi 

Racconto di un'avventurosa serata vissuta in occasione di uno Scambio Europeo in Polonia:
"A vent'anni ti mandiamo a quel paese"


 Respiri smorzati, i cani abbaiano vicino.
Assetto da guerrilla nordica, chi si muove è perduto.

Le loro voci rimbombano vicine, urlano come se sapessero che siamo qui.
La testa si abbassa, istinto d’infanzia: “Se io non vedo loro, loro non vedono me.”
Siamo una ventina, nascosti in questo intrico di foglie da almeno mezz’ora, in febbricitante attesa. 
L’altra squadra sembra non volerci trovare.
Gli urli si allontanano nell'oscurità, il silenzio della notte torna ad avvolgerci.
Quindici improvvisati "bodyguard" locali ci spiegano a gesti dove andare, ci prendono per mano per issarci sulle collinette alla ricerca di un nascondiglio, ci prestano le felpe per nascondere i vestiti troppo bianchi...

Col cavolo che da sola mi aggirerei in questo bosco tenebroso senza lampioni, vicino a un cimitero!

Eric, l'unico polacco del gruppo che parli inglese, è seduto vicino a me.
Senza preavviso emette un grido selvaggio, che spacca il silenzio...

I cani ricominciano ad abbaiare, le voci dell'altra squadra si riavvicinano.


Ma che ca**o fa questo? Ci troveranno! 

 
No, non è impazzito. Ha appena usato egregiamente il primo dei tre "clusters", indizi obbligatori per farci trovare dagli avversari.
Grazie al grido di Eric, ecco comparire nell'oscurità gambe veloci che fanno ritorno: stavolta non abbiamo scampo, ci hanno trovati. 
Immaginate venti corpi che senza comunicare si immobilizzano, si pietrificano come marmo, mentre a pochi metri gli avversari attraversano una stradina sterrata cantando. 

Mi concentro sul respiro, "Io non esisto".

Funziona, non ci vedono, (tuttora, pensandoci, la cosa ha dell'incredibile.)
Appena sono sufficientemente lontani, scoppia la risatina generale di soddisfazione. 

Cerco di selezionare un qualche ordine nella testa, metto a fuoco nell'oscurità l'ammasso di corpi che creiamo tra le fronde.
Situazione assurda, come farò a raccontarla nel blog?

Cappuccio della felpa tirato in testa, cellulare alla mano, il ragazzo dalla parte opposta del gruppo è uno dei più grandi, silenzioso leader che dirige la truppa.
Sarà lui a lanciare il secondo cluster, il più interessante: nascondendo la luce del cellulare sotto la felpa manda un sms a uno degli avversari: "è stato bello vedervi da vicino..." 
Insomma, torneranno.
Il territorio a disposizione è però immenso, tornando sui loro passi e perlustrando da capo ci impiegheranno troppo: per farci trovare ricorriamo ad un ultimo, energico cluster.
Parte lo sbraito libero.
Finalmente cihanno in pugno.
Due risate, qualche parolaccia di pura soddisfazione in polacco, ci prepariamo al secondo match, in cui noi dovremo cercare loro.

Tutto ha avuto inizio così: i ragazzi del villaggio, stasera, ci hanno proposto di giocare con loro a questa variante selvaggia di nascondino, ed anche se è Luglio ho fatto bene a portare la giacca a vento. 


Długobór è un villaggio di cento abitanti, immerso nei campi e nelle foreste. 
Vagando sulle sue strade lastricate si incontra il primo centro abitato dopo un’oretta di cammino, forse di più. Su ogni tetto troneggia un nido di cicogne, orgoglio degli abitanti.
Il territorio che lo circonda è immenso, pieno di nascondigli favolosi tra le spighe, sulle colline, vicino ai fossi.

Il buio rende tutto più facile, dato che i lampioni sono solo sulla sterada principale, l'unica lastricata. 

I ragazzi ci guidano, ci accompagnano, ridono con noi, scovano i posti migliori.
Ci trasmettono a tal punto la passione tattica per il gioco che nella manche successiva la carovana è guidata con infantile entusiasmo da un marocchino, due lituane, una polacca di una regione lontana, due italiane...
 come nelle migliori barzellette, solo che stavolta i protagonisti siamo noi.



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