di Francesca Introna
Ho promesso al responsabile di questo blog che avrei scritto almeno un articolo al mese. Quindi forse, siccome i lettori dovranno abituarsi alla mia pur saltuaria presenza, sarebbe il caso di fare le presentazioni. Ma, non essendo io il tipo di persona che racconta subito tutto di sé agli altri, ho deciso che mi dovrete conoscere un pezzo alla volta. Ci saranno insomma, ogni tanto, articoli più personali di altri. Questo è uno di quelli.Se c’è una data che ha cambiato la mia storia e il mio modo di essere, è sicuramente il 31/10/2003, cioè il giorno in cui ho lasciato la mia casa a Rho per trasferirmi con la mia famiglia a Bergamo. Non voglio ovviamente annoiarvi con una biografia, ma solo prendere spunto da questo episodio per affrontare il mio rapporto con le cose materiali e con i luoghi, insomma con la realtà fisica.
Casa. Non sono mai stata molto convinta della mia dimora bergamasca: ha troppi spazi aperti perché possa diventare intima. Di conseguenza non mi sento legata a tutti i suoi angoli e a tutte le sue stanze, ma solo ad alcuni posti precisi. Ad esempio adoro la cucina – che è sempre la stessa da quando sono nata- , in particolare la parte del ripiano che sta tra il frigorifero e i fornelli. Quello è il mio rifugio storico, che mi ha vista nei momenti migliori e nei peggiori e sul quale regolarmente mi siedo. Purtroppo non descriverei con lo stesso calore la mia cameretta, ma non so il motivo. Forse per il balcone inutilizzato su cui si affaccia, forse per l’armadio a muro che dà l’idea di una modernità plastificata, forse semplicemente perché non ci ho giocato da bambina. È andata così.
Fermata dell’autobus. Quella della linea 10, che io e i miei amici prendevamo per andare a scuola. È un luogo di per sé asettico e inospitale: senza pensilina, senza riparo dalle intemperie. La sola possibilità di sedersi è accontentarsi di un tubo di metallo che credo dovrebbe servire a legarci le biciclette. Tra l’altro, essendo corto, riuscivamo a sederci in due, e quindi dovevi sperare in un amico galante ( che per fortuna c’era sempre, ed era sempre lo stesso). Ogni volta che passo accanto a quella fermata sorrido al ricordo delle chiacchiere, dei ripassi pre-interrogazione, delle risate, delle infinite discussioni politiche, delle rinunce quando capivamo che il pullman era perso e dovevamo avviarci a piedi. Anni memorabili quelli del liceo, perché condivisi con persone che sono felice di poter dire essere miei amici. Persone per cui penso di essere stata fortunata a venire a vivere a Bergamo. Persone che mi dispiace non conoscere da sempre, come invece spesso si conoscono tra loro (e so bene che questo tarlo non lo toglierò mai dalla mia testa).
Souvenir. Una cosa che faccio spesso è conservare oggetti, sostenendo che siano ricordi di questa o quell’altra esperienza. Lo faccio per avere un contatto fisico, reale, con ricordi e momenti di vita vissuta. Questa raccolta di souvenir mi dà la sensazione non aver più abbandonato niente e nessuno, di mantenere un contatto solido e incrollabile con tutto. Ovviamente la realtà non coincide con tale mia aspirazione, e quindi mi capita di trovare oggetti di cui non ricordo l’origine. A quel punto, per fortuna, li butto.
Se volete sapere il motivo per cui ho scritto queste cose, è perché penso che certe fratture interne –per quanto piccole e innocenti – prima o poi debbano essere affrontate. Io ci ho provato adesso, partendo dai beni materiali e in modo “pubblico”, perché è il primo passo che sono riuscita a compiere. Spero possa aiutare altri a fare lo stesso.
3 commenti:
Benvenuta in Spogliatevi! Decisamente un ottimo inizio!
Anche se un articolo l'aveva già scritto...
http://spogliatevi.blogspot.it/2012/10/se-niente-importa.html
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