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venerdì 8 marzo 2013

WOMEN HAVE THE POWER # 2013

di Sara L.

Capire da dove si viene e decidere dove si vuole andare: un vero e proprio processo culturale che ci dovrebbe accompagnare nell’analisi e nella valutazione di tutti i fenomeni sociali in cui siamo immersi. Questo stesso processo ogni 8 marzo mi induce a fermarmi e a pensare all’origine di questa celebrazione, che tutti gli anni mi provoca reazioni semi-allergiche alla vista delle tante donne, alcune delle quali reputo persone in gamba gli altri 364 giorni, inguainate in improbabili abiti che seppelliranno nell’armadio fino all’anno prossimo, mosse da una male interpretata istanza femminista secondo la quale il mondo, soprattutto maschile, almeno quel giorno dovrà essere ai loro piedi. Le origini di questa come di altre celebrazioni si confondono un po’ con il mito ma di certo poco hanno a che vedere con allegri fiori gialli o provocanti serate di streap.

New York, inizio marzo del 1908: le operaie di un’industria tessile scioperano per protestare contro le terribili condizioni in cui sono costrette a lavorare. Lo sciopero si protrae per alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario decide di bloccare tutte le porte della fabbrica ed  appiccare il fuoco, provocando la morte di 129 lavoratrici.
Il mio augurio per le lettrici e i lettori del blog è che ognuno di noi porti impressa nel cuore e nell’animo la consapevolezza che la celebrazione intende ricordare un momento in cui le donne hanno voluto tirar sù la testa e reclamare rispetto e dignità.
Per questo motivo mi prendo la libertà di utilizzare questo spazio per ricordare alcune donne per le quali tirar su la testa è pratica quotidiana.

Auguri ad Hassanya e a tutte le donne fuggite dai tumulti che hanno scosso il Nord Africa negli ultimi anni: in Italia siete state riunite, insieme alle vostre famiglie, sotto il grande cappello dell’“Emergenza Nord Africa”. Qualcuno, seduto sulle poltrone là in alto, ha deciso che dovevate essere trattate come un terremoto, un’inondazione che passa e tutto travolge: un’emergenza di carattere nazionale. Dopo due anni di interventi dispendiosi sul piano economico, di scandali, di modalità di gestione dissennate all’interno delle quali poco o nessuno spazio è stato dato agli operatori per costruire progetti di integrazione, l’assetto del progetto è ancora emergenziale. Ora che “l’emergenza Nord Africa” secondo il calendario del governo è terminata, i tuoi occhi chiedono conto a tutti noi di quanto è accaduto e di quanto accadrà: a te, Hassanya, auguro il coraggio di andare avanti e a chi ha deciso da quelle poltrone auguro la capacità, un giorno, di capire quanto male hanno fatto, a chi come te è arrivato e all’Italia che ha dimostrato di non saper accogliere.
Auguri a tutte le donne che ogni giorno lottano contro la malattia, perché negli ospedali si ponga attenzione anche alla loro femminilità, che nessuna patologia può uccidere. Auguri alle donne che operano negli ambiti sanitari, che sappiano tutelare questo aspetto, che smentiscano lo stereotipo per cui “in alcuni ambienti le donne sono più stronze degli uomini”, che sappiano sospendere il giudizio e tutelare le scelte delle pazienti, che regalino umanità e amore al di là delle barriere generazionali o culturali che possono dividerci.

Auguri alle donne che sono appena entrate in Parlamento: che possano svolgere il loro compito consce della grande responsabilità che hanno nei confronti del Paese. Siano capaci di testimoniare (almeno a ‘sto giro!) che non tutte le donne che ricoprono posizioni prestigiose sono arrivate a quel punto grazie ad altre posizioni assunte in precedenza nel letto di chi poteva sponsorizzarle. Auguri alle donne che si occupano dell’insegnamento delle nuove generazioni: perché contribuiscano a incrementare il senso di dignità nelle bambine e nelle ragazze e il rispetto per l’Altro (inteso in senso lato) nei bambini e nei ragazzi.

Auguri alle donne detenute: tutte hanno una pena da scontare ma nella quasi totalità delle loro storie emergono tracce di violenza subita; per una donna il carcere è ancora più avvilente, se possibile, che per un uomo: toglie relazione, svilisce la parte emotiva, tante volte mina la piena espressione della maternità. Auguri alle donne che si trovano nei CIE, bieca invenzione di una bieca legislazione: a motivare il loro stato di detenzione, poiché di detenzione a tutti gli effetti si tratta, la sola colpa di non avere un passaporto italiano, o di non averlo di uno stato che nel Risiko conta qualcosa o ancora di aver scelto semplicemente di scappare per salvare la propria vita e quella dei propri cari.

Auguri a Marzia, amica di sempre, che tra qualche giorno diventerà mamma di due gemelli. Un grazie per avermi insegnato cosa significa avere coraggio, cosa significa lottare contro tutto, contro tutti e talvolta anche contro se stessi… per avermi insegnato che le cose semplici sono quelle più belle, che bisogna guardare al futuro con fiducia e che ciò che si semina di buono prima o poi sboccerà e se ne potranno cogliere i frutti. Grazie.

Infine un augurio a tutte noi, che non abbiamo bisogno necessariamente di un tacco 12 e una gonna corta per sentirci belle e femminili, ma che difendiamo il diritto di indossarli senza per questo far sentire autorizzato chi ci incontra per strada a metterci le mani addosso. Auguri a tutte noi, che ci ritagliamo ogni giorno il nostro posto nel mondo, con in mano un cucchiaio di legno sporco di farina, un trapano, una penna, un ago da cucito, un biglietto d’aereo… perché ci ricordiamo sempre di tirar su la testa.


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