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domenica 10 marzo 2013

Nel nome della diga

                                                           di Mario Manzoni

Ora i bambini dormono sul fondo dell'Akobo.
No, non è un semplice verso preso da qualche canzone di deandreiana memoria.
Il 28 dicembre dello scorso anno sono stati massacrati 147 Suri, popolazione autoctona del sud dell'Etiopia.
Nel mattino di quell'infausto giorno, un gruppo di soldati del governo etiope ha fatto incursione nel villaggio di Balessa Suri di Beyahola, sulle sponde del fiume Omo e ha radunato tutti gli abitanti Suri i quali sono stati legati, condotti nella foresta e trucidati. Uomini, donne e bambini, 147 in tutto. Le milizie governative non hanno risparmiato nessuno di loro. I corpi delle vittime sono stati seppelliti in fosse comuni, mentre la maggior parte dei bambini vennero gettati nel fiume Akobo. Il governo etiope ha cercato di evitare che l'accaduto venisse a conoscenza della stampa estera, ma, nonostante ciò, la notizia è riuscita a trapelare, anche grazie alla testimonianza di sette ragazzi scampati al massacro.
Questo tragico evento si colloca in una più vasta compagine di espropri (attraverso il "land grabbing") e minacce a danni dei Suri da parte di investitori stranieri, appoggiati dal governo locale.

La loro unica “colpa” è quella di aver difeso la propria terra e la propria sopravvivenza resistendo, con mezzi impari, alla costruzione della “Gilgel Gibe III”, monumentale diga idroelettrica sul fiume Omo. L'infrastruttura, definita un importante "motore di sviluppo" per tutta l'Africa, rischia di compromettere seriamente l'ecosistema e lo stile di vita di molte persone che sopravvivono grazie ad esso. La Survival International, ONG finalizzata alla salvaguardia dei dei popoli tribali, si è schierata a fianco del popolo Suri. “La diga infatti, sostiene l'organizzazione, altererà i flussi stagionali dell’Omo, interromperà il ciclo naturale delle esondazioni che riversano acqua e humus nella valle alimentando le foreste e consentendo agricoltura e pastorizia, portando al collasso le economie legate al fiume con conseguente scarsità di cibo o, nei casi peggiori, carestia, per almeno 100mila persone”

Al finanziamento della diga, con la promessa di versare un contributo di 250 milioni di euro, aveva dato il suo iniziale assenso il nostro governo, il quale abdicò nel maggio 2011 a causa della scarsa trasparenza dell'operazione. Confermato e oltremodo osannato è invece l'apporto della “Salini Costruttori”, società italiana che ha vinto l'appalto nel 2006 per la costruzione della diga.
Se dietro questa strage si celasse una responsabilità, anche solo omissiva e omertosa, della società, sarebbe una situazione davvero agghiacciante.

E' scandaloso che in nome di una diga, emblema del “progresso”, si è sempre disposti a sottomettere chi non ha voce e mezzi per opporsi, come se il bene pubblico fosse solo un obbiettivo di parte.
Ed è altrettanto riprovevole che quasi nessuno faccia menzione di tali eventi.Di tutta questa vicenda, infatti, sono stati riportati solo rari e frazionati accenni da parte dei media italiani.
Sembra strano sentir parlare di queste cosa. Elezioni, creazione del governo, nuovo Papa hanno monopolizzato tutta l'informazione del "Bel Paese". Non voglio sminuire questi eventi ma credo che, specialmente in un periodo di crisi come questo, è essenziale sapere guardare oltre i nostri confini per non spezzare il legame che ci collega al resto del mondo, legame che non può essere di solo becero sfruttamento a danno dei più deboli.


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