Miriam Bonalumi
Autore: Massimo Polidoro
Edizioni: Piemme Voci - Milano
tratto da una storia vera
Libro che mi è capitato tra le mani
per caso (ringrazio il fautore del caso), “Marta che aspetta
l'alba” è uno di quei romanzi da leggere anche solo per
distrazione, in viaggio verso la scuola o il lavoro.
Si parla della Marta e della Mariuccia,
capitate l'una per forza, l'altra per caso, al “manicomio di San
Giovanni” di Trieste.
Marta, diciassette anni, un diploma in
tasca e mille sogni nel cassetto, in pochi giorni vede il suo mondo
crollarle addosso, e si trova invischiata in ambizioni e
macchinazioni che in breve tempo la spingono (anima e corpo) in una
gabbia d'acciaio, dove nessuno sta a sentire le sue grida.
Mariuccia, solida femminista negli
ideali e nella vita (siamo nel 1968), trova casualmente un lavoro a
chiamata nell'Ospedale psichiatrico, e in un colloquio di non più di
quaranta secondi eccola diventare “la infermiera dei mati”: un
lavoro umiliante e brutale, colmo di beffe e pratiche disgustose,
nemmeno lontanamente paragonabile a quello che oggi intendiamo
parlando di questa professione.
1971: Franco Basaglia diviene il
direttore dell'ospedale psichiatrico di Trieste. Le porte dei reparti
vengono spalancate, gli infermieri iniziano a parlare con gli
“internati”, gli episodi quotidiani di violenza del personale sui
pazienti diminuiscono, fino a scomparire. In pochi mesi di fervente
lavoro, c'è chi ritrova una vita e una dignità da decenni perduta,
c'è chi dona una senso e una vera professionalità al proprio
lavoro, c'è anche chi, come Marta, incontra il cambiamento portato
dall'approccio di Basaglia quando ormai è troppo tardi. I matti sono
diventati esseri umani, ma prima di arrivare a questo quante botte,
quanti elettroshock, quante lobotomizzazioni.
Basaglia, psichiatra noto come
promotore della legge 180 del '78 sulla riforma dell'assistenza e
organizzazione psichiatrica, parlando del futuro della psichiatria
diceva:
«Non
è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e
cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si
può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di
affrontare la questione; anche senza la costrizione. »
Miriam Bonalumi
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