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mercoledì 16 maggio 2012

MACAO: non si sgombera la fantasia

di Francesco Mancin
Interssante estratto dall'articolo di Giulio Cavalli de "Il Fatto Quotidiano", che cerca di fare cerchio attorno alle vicende dello sgombero di Macao, centro socio-culturale nato dall'occupazione della Torre Galfa in centro a Milano. Una storia caratterizzata da ignavia e miopia verso i movimenti culturali e giovanili che si riappropriano degli immensi stabili e spazi urbani abbandonati da decenni nelle nostre città. Anche a Milano, dove imprese e politici forse poco trasparenti rimestano il grande calderone dei fondi pubblici dell'EXPO, sarebbe auspicabile fermarsi e riscoprire (o meglio non girare la testa dall'altra parte) cio' per cui si è già sperperato il denaro pubblico...
Eccoci, l’avevamo già scritto, oggi qualcuno vorrebbe insegnarci che Macao è violenza. Niente a che vedere con l’arte, dicono. Invece Macao è fantasia. E la fantasia non può essere violenta per natura. E’ straripante, inaspettata, destabilizzante e selvaggia. Ma mai violenta. E le parole che sono state usate fino a qui non hanno un mezzo centimetro di spessore per cogliere ciò che succede dentro MACAO per provare a riformularlo in risposta politica (o chiamatela pure proposta, se vi viene la paura di dare troppa importanza ai ragazzi del Torre Galfa). E mi vengono in mente una decina di buoni motivi per provare a smettere di balbettare come professionisti del cerchiobottismo. Perché a guardare da fuori quello che sta succedendo si nota come tutti corrano ad occupare la sedia del non prendere posizioneprenderne poca ma timidamentedire tutto e il suo rovescio.
 E alla fine De Corato rischia di diventare l’unico veramente comprensibile. Anche perché (anche questo proviamo a dirlo da tempo) in medio ci sta virtus me il rischio è la mediazione che marcisce in mediocrità.
MACAO ha bisogno di una risposta politica, civile e culturale. Al di là dello spazio in cui si esercita.
Perché Milano unge Dario Fo ad ogni vernissage e celebra le palazzina Liberty ma forse non sa bene cosa sia successo davvero.
Perché la partecipazione non si può pretendere con la manina alzata e tutti composti ai banchi. E ogni forma di partecipazione ha la propria disciplina (e indisciplina) ma il punto rimane coglierne il cuore.
Perché i fan di tutti gli #occupy del mondo poi in fondo vogliono ordine e disciplina sotto il proprio balcone. Un #occupy federalista: l’importante è che rompa le scatole agli altri fuori dal nostro quartiere.
Perché la cultura (so che a qualcuno dispiace) è fatta anche di lavoratori. E anche i lavoratori della cultura si incazzano come si incazzano tutti i lavoratori del mondo. E anche nella miseria di questo campo cominciano a esserci fastidiosi piccoli Marchionne.
Perché dentro MACAO non ci sono (come leggo in giro) contraddizioni: l’appello di MACAO è semplice, diretto e chiaro. Si può essere d’accordo o meno. Vietati i “ni”, per favore.
Perché sarebbe proprio bello in un EXPO che puzza solo di grigi e lobby immaginare subito un orto per MACAO (con tutto lo spazio che c’è, no?). E poter dire che l’abbiamo curato e innaffiato, quando saremo anziani con i nipoti, raccontarci come l’abbiamo immaginato insieme senza ombre e abbiamo preso la responsabilità di coglierne i frutti. Fare politica, insomma.

1 commento:

Claudia ha detto...

Grazie Mancio!!
"Non è questione di spazi, è questione di democrazia" e quei ragazzi, di democrazia diretta, in questi dieci giorni, ne hanno fatta e ancora ne stanno facendo..
Partendo dalla Stazione Centrale e percorrendo la via che porta alla Torre Galfa, si respira come un'aria nuova, un'aria di rinnovamento, un'aria sana, pulita, di giovani che pacificamente, rispondono con un sorriso allo sgombero, di giovani che si siedono per terra e esprimono le proprie idee democraticamente..sono quasi tutti artisti, precari, studenti, disoccupati che però sperano e credono nei loro sogni!
Insomma, verrebbe da lasciar tutto e trasferirsi in Piazza Macao!

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