Una stagione sci-alpinisitica [#3] di Francesco Locatelli
Le Alpi Centrali nel mare di Nebbia, viste dalle sommità del Pizzo Scalino (3323 mt.) |
Le intenzioni del messaggio erano
chiare fin dall’inizio: partenza presto, parecchia strada, una meta ambita e
materiale di sicurezza obbligatorio. Anche se il meteo dice “variabile con
tendenza ad annuvolamenti dal primo pomeriggio”, non posso di certo perdere
l’occasione di una bella gita in ottima compagnia! La risposta è pronta: avviso
gli amici che l’indomani ci sarò anch’io, con il mio scarso allenamento, l’ARVA
(dispositivo per la ricerca sotto le valanghe) nuovo di pacca ed una pala e
sonda prestate all’ultimo minuto.
La piramide del Pizzo Scalino (3323 mt) vista da basso |
Il gruppo del disgrazia visto da est |
Dopo un buon caffè ed una lunga
salita, piena zeppa di tornanti, arriviamo al parcheggio e, verificato il
corretto funzionamento degli apparecchi ARVA, tocca fin da subito una “partenza
sprint” che coglie impreparato sia me che le mie povere gambe. Il trattamento che
i soci mi riservano durante la prima parte del tragitto non è certamente dei
più incoraggianti: passo felpato, compagnia “a distanza”, frecciatine sul mio
stato fisico e nemmeno l’ombra di una pausa. Già dopo una decina di minuti riscontro
che oggi sarà una lunga e faticosa giornata: oltre a non tenere il ritmo del
duo in testa, sento che le feste pasquali hanno decisamente contribuito ad
infiacchirmi il corpo e lo spirito, già sufficientemente rammolliti dall’ultimo
mese di totale inattività sci-alpinistica. Superata una grossa duna, sono
improvvisamente travolto da una sensazione di eterna stanchezza, che a dire il
vero, mi accompagnerà per tutta la giornata. La sorte vuole infatti che, alla
vista della montagna e ancor peggio, degli immensi pendii che ad essa
conducono, le emozioni che dovrebbero automaticamente subentrare nell’animo
coscienzioso di un giovane alpinista, sono inspiegabilmente tramutante nei
peggiori incubi di un pantofolaio d’appartamento.
Salendo verso il "Cornetto" |
Il ripido manto di neve che
conduce al Cornetto diventa il mio personale calvario: gli amici, ignari della
fatica che mi deruba energie come un ladro nella notte, si fanno ancor più
lontani. Le pause, sempre più frequenti, non sono sufficienti nemmeno a
riprendere il fiato, ormai stanco e affaticato da uno sforzo non previsto.
Maledicendo la pigrizia che mi ha accompagnato negli ultimi mesi, vengo
superato persino da un “non-giovane” sci alpinista partito diversi minuti dopo
di noi. A denti stretti procedo talmente lentamente che la sella da raggiungere
sembra spostarsi alla mia stessa velocità cogliendo in scacco le già-sufficientemente-provate
capacità cognitive in un perfetto paradosso spazio temporale degno di un noir
hollywoodiano. Mentre la meta diventa così infinitamente lontana, mi sento
sempre di più protagonista di una commedia fantozziana: da buon sfortunato
cavalier qualunque, decido di non mollare e, in un tempo a dir poco ridicolo,
riesco comunque a guadagnare la sella nei pressi del Cornetto, dove trovo i
compagni concentrati nell’inscenare una simulazione di “ricerca travolti da valanghe”
con gli ARVA. Gli amici fanno finta di capire le mie sofferenze e dopo avermi
più volte illuso e rassicurato sul fatto che converrebbe a tutti procedere più
lentamente, riprendono immediatamente la salita alla stessa velocità di prima.
Per fortuna, a questi due brutti ceffi, ci sono abituato e, senza cadere nella
loro trappola, mi riavvio alla mia velocità.
I due brutti ceffi, sullo sfondo il Pizzo Scalino |
Il Pizzo Scalino visto dal "Cornetto" |
Un flash, un’immagine, un’epifania:
io, Gio e Luca abbracciati alla croce della vetta, con il viso arso dal sole e
dal vento. E’ bastato questo semplice fotogramma a convincermi che avrei
dovuto, in un modo o nell’altro, continuare a salire. Il cielo, sin’ora
alternato da nebbie e timidi raggi solari, filtrati da nuvole passeggere, è
tornato improvvisamente a splendere: davanti ai miei occhi si accende la
vedretta del Pizzo Scalino, sorvegliata dall’immensa maestosità dei 4000 Retici.
Con passo lento, ma ormai deciso a continuare, seguo fedelmente la traccia che
conduce verso l’alto: un minuscolo binario che attraversa l’intero ghiacciaio,
al sicuro dagli invisibili crepacci disseminati sotto la coltre e dalle
improvvise slavine che, nelle ore calde, potrebbero originarsi dal distacco con
la parete rocciosa. Con decisione e sofferenza proseguo il cammino fino a che, alla
mia vista, compaiono gli amici, i quali sono inaspettatamente molto meno
distanti di quel che pensavo. Intuisco allora che la fatica dovuta alla quota
inizia a farsi sentire: una sensazione di stanchezza e mancanza di ossigeno che
si manifesta vivamente verso i 4000 metri, ma che presenta i suoi sintomi anche
a quote minori. Mentre il sole continua a splendere alto e radioso, da lontano
noto con sorpresa che l’andatura dei compagni è decisamente diminuita e
spezzata da frequenti pause. Cercando di mantenere il passo più costante
possibile raggiungo gli amici, che da poco sostano sotto un ripido canale che
porta in cresta.
Il luogo scelto per la sosta è a dir poco accomodante: parecchio
pendente, molto scomodo, ristretto
quanto basta e, dulcis in fundo, situato a valle di imponenti cornici
formatesi su di una fascia rocciosa situata una cinquantina di metri sopra. Dato
che tutto ciò è solo un assaggio del concetto ben più grande di alpinismo,
decidiamo di “prenderla con filosofia”, e ci godiamo un meritato sorso di tè. In
un lasso di tempo incredibilmente veloce, Gio è già pronto per ripartire e
decide di avviarsi con l’obbiettivo di tastare il tratto alpinistico che ci
separa dalla vetta. Mentre io e Luca riprendiamo fiato e discorriamo sull’intenzione
o meno di proseguire, Gio è già oltre il canale e prosegue solitario in cresta.
Nonostante le intenzioni sono quelle di continuare insieme il breve ma delicato
tragitto, Luca ha qualche problema con i suoi ramponi, perciò sono costretto ad
andare da solo. Mentre l’amico mi cede, molto cortesemente, la sua picozza in
modo tale che io ne abbia una per ogni mano, lotto letteralmente con metri e
metri di neve cercando di indossare i ramponi. Riuscito in codesta impresa,
saluto Luca e inizio a salire per il canale, della pendenza di circa 50 gradi
Uno degli spettacoli più belli
che si possono provare nell’andar per monti, è senz’altro l’emozione
sprigionata dalla vista di un immenso panorama, apparso nell’istante in cui si
raggiunge un passo da una valle cieca. Così anch’io, raggiunta la sommità del
ripido canale, sono improvvisamente colto da una gioia viva e infinita quanto
lo splendido scenario che mi trovo davanti: un vastissimo mare di nebbia è
rotto soltanto dagli enormi massicci delle Alpi Centrali, mente sotto i miei
occhi, le vertiginose pareti di roccia mista a ghiaccio della montagna, vanno
perdendosi nella nebbia. Le nuvole, mosse da un vento iracondo, coprono e
scoperchiano le montagne vicine creando così delle trame che restano in scena
pochissimi istanti. Completamente galvanizzato dall’ambiente che mi circonda,
che nulla ha da invidiare ai più celebri
4000 alpini affrontati durante il periodo estivo, seguo le tracce sul filo di
cresta cercando di prestare la massima attenzione, non tanto per la difficoltà
del percorso, quanto per la fatalità che potrebbe costare al minimo errore. Mentre
continuo imperterrito la mia salita e mi accingo ad affrontare un traverso,
noto che Gio sta scendendo un tratto delicato, molto lentamente e con faccia a
monte. In un primo momento penso che le difficoltà della salita gli abbiano
impedito di raggiungere la sommità, ma una volta raggiunto l’amico, egli mi
confida che la vetta è appena sopra la fascia di rocce affioranti, a non più di
una cinquantina di metri da noi. Alla scoperta di questa ottima notizia, con
estrema naturalezza, mi accingo ad ultimare il percorso, quando mi accorgo che
il compagno, di poco sopra di me, sbarra deciso la strada. “Non penserai di
salire ulteriormente?” “Penso proprio di si, mi mancano solo poche decine di
metri dalla vetta!” “Guarda che tra poco c’è un traverso molto delicato e poco
sopra un tratto misto di roccia e ghiaccio” “Stando attento ce la posso fare,
non mi sembra così complicato, e poi, ho fatto tanta strada per che cosa?” “Non
metto in dubbio che tu possa arrivare in cima, ma il problema, senza corda, è
scendere” “Sei sicuro?” “Se vuoi proprio salire sarò costretto a seguirti anch’io…..”.
Un monito del genere, fatto da un
esperto, avrebbe potuto anche rimanere inascoltato. Ma la persona che mi trovo
di fronte, non è solo un esperto, ma anche un sincero amico di cui mi sono
fidato tante volte. In un attimo rifletto e capisco il motivo per cui “ho fatto
tanta strada” e decido, nel pieno delle mie facoltà, che è questo il momento in
cui fermarsi e tornare indietro. Nella mente continua a rimbalzarmi quel
fotogramma in venivano raffigurati tre amici sulla vetta del Pizzo Scalino, un’immagine
che oggi non vedrò ma che mi porterò sempre nel cuore come testimonianza di non
aver mollato quando ero nel pieno di una crisi ma di aver rinunciato, per amore
e per coscienza, ad una manciata di passi dalla vetta. I ricordi mi riportano
ad altre avventure simili, in cui il sapore della sconfitta si è mischiato a
quello dell’avventura fino a diventare un miscuglio di emozioni magiche vissute
sulla propria pelle. Come quella volta sulla salita per la Roncola, o di quell’altra
sulla cresta est del Pizzo Coca, di cui un giorno forse vi racconterò, anche
oggi rammento il grande insegnamento che diede mio nonno quando disse “le
montagne sono sempre lì, se non ci andrai oggi, ci andrai domani”.
Imponenti cornici minacciano la traccia di salita |
Io e Gio poco al di sotto della vetta del Pizzo Scalino, vista sud |
Sulla cresta finale |
Gita: Pizzo Scalino (3323 mt.),
via normale, versante italiano
Data: 11/04/2013
Partecipanti: Francesco; Gio
(vetta); Luca
Difficoltà: BSA (buon sciatore
alpinista)
Note particolari: Il mancato utilizzo di sostanze protettive da raggi UV (crema solare) ha provocato ingenti ustioni fino al II grado sul viso dei distratti partecipanti. DON'T TRY THIS AT HOME!
Note particolari: Il mancato utilizzo di sostanze protettive da raggi UV (crema solare) ha provocato ingenti ustioni fino al II grado sul viso dei distratti partecipanti. DON'T TRY THIS AT HOME!
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