di Edoardo Marcarini
Mi trovo di nuovo senza idee, o meglio senza idee valide e che servano a qualcuno. Idee inerenti a fatti accaduti o importanti anniversari, qualcosa che stupisca e racconti la società o la politica, qualcosa all'altezza degli altri articoli. Un anno passato a scrivere di Martedì con la consapevolezza di non essere all'altezza degli altri redattori. Un anno passato a rispulciare le pagine pubblicate in settimana e trovarne una all'altezza (o meglio alla bassezza) della mia solo il Martedì precedente. Un sacco di volte quest'anno ho scritto "perché dovevo", non perché sentissi il bisogno di parlare e condividere, ma perché il Martedì era il mio giorno e io, di Martedì, avrei dovuto pubblicare un articolo. I risultati molto spesso si sono rivelati deludenti.
Oggi non ho niente da dire, niente da dire di così mio da permettermi di scrivere qualcosa di soddisfacente, qualcosa all'altezza. Niente che tocchi gli ordinari argomenti del blog.
Quindi vi propongo, di nuovo, uno spunto di riflessione, un piccolo germoglio che chiunque può sentir proprio e accudire. Qualcosa di non abbastanza mio perché, in qualche modo, di tutti e che in questi giorni mi tormenta.
Oggi non ho niente da dire, niente da dire di così mio da permettermi di scrivere qualcosa di soddisfacente, qualcosa all'altezza. Niente che tocchi gli ordinari argomenti del blog.
Quindi vi propongo, di nuovo, uno spunto di riflessione, un piccolo germoglio che chiunque può sentir proprio e accudire. Qualcosa di non abbastanza mio perché, in qualche modo, di tutti e che in questi giorni mi tormenta.
"Ah che tentazione di prenderle il viso tra le mani per costringerla a guardare nell'abisso di due occhi ben altri da quelli da cui voleva essere guardata!
Era lí davanti a me; m'acciuffava con una mano i capelli; mi si metteva a sedere sulle ginocchia; sentivo il peso del suo corpo. Chi era? Nessun dubbio in lei ch’io lo sapessi, chi era. E io avevo intanto orrore dei suoi occhi che mi guardavano ridenti e sicuri; orrore di quelle sue fresche mani che mi toccavano certe ch’io fossi come quei suoi occhi mi vedevano; orrore di tutto quel suo corpo che mi pesava sulle ginocchia, fiducioso nell'abbandono che mi faceva di sé, senza il piú lontano sospetto che non si désse realmente a me, quel suo corpo, e che io, stringendomelo tra le braccia, non mi stringessi con quel suo corpo una che m'apparteneva totalmente, e non un'estranea, alla quale non potevo dire in alcun modo com'era, perché era per me qual'io appunto la vedevo e la toccavo questa – cosí -con questi capelli - e questi occhi - e questa bocca, come nel fuoco del mio amore gliela baciavo; mentre lei la mia, nel suo fuoco cosí diverso dal mio, incommensurabilmente lontano, se tutto per lei, sesso, natura, immagine e senso delle cose, pensieri e affetti che le componevano lo spirito, ricordi, gusti e il contatto stesso della mia ruvida guancia sulla sua delicata, tutto, tutto era diverso; due estranei, stretti cosí -orrore - estranei, non solo l'uno per l'altra, ma ciascuno a sé stesso, in quel corpo che l'altro si stringeva. Voi non lo avete mai provato, quest'orrore, lo so; perché avete sempre e soltanto stretto fra le braccia tutto il vostro mondo nella donna vostra, senza il minimo avvertimento ch’ella intanto si stringe in voi il suo, che è un altro, impenetrabile. Eppure basterebbe, per sentirlo, quest'orrore, che voi pensaste un momento, che so! a un'inezia qualunque, a una cosa che a voi piace e a lei no: un colore, un sapore, un giudizio su una tal cosa; che non vi facessero soltanto pensare superficialmente a una diversità di gusti, di sensazioni o d'opinioni; che gli occhi di lei, mentre voi la guardate, non vedono in voi, e come i vostri, le cose quali voi le vedete, e che il mondo, la vita, la realtà delle cose qual'è per voi, come voi la toccate, non sono per lei che vede e tocca un'altra realtà nelle stesse cose e in voi stesso e in sé, senza che vi possa dire come sia, perché per lei è quella e non può figurarsi che possa essere un'altra per voi."
(Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1926)
Era lí davanti a me; m'acciuffava con una mano i capelli; mi si metteva a sedere sulle ginocchia; sentivo il peso del suo corpo. Chi era? Nessun dubbio in lei ch’io lo sapessi, chi era. E io avevo intanto orrore dei suoi occhi che mi guardavano ridenti e sicuri; orrore di quelle sue fresche mani che mi toccavano certe ch’io fossi come quei suoi occhi mi vedevano; orrore di tutto quel suo corpo che mi pesava sulle ginocchia, fiducioso nell'abbandono che mi faceva di sé, senza il piú lontano sospetto che non si désse realmente a me, quel suo corpo, e che io, stringendomelo tra le braccia, non mi stringessi con quel suo corpo una che m'apparteneva totalmente, e non un'estranea, alla quale non potevo dire in alcun modo com'era, perché era per me qual'io appunto la vedevo e la toccavo questa – cosí -con questi capelli - e questi occhi - e questa bocca, come nel fuoco del mio amore gliela baciavo; mentre lei la mia, nel suo fuoco cosí diverso dal mio, incommensurabilmente lontano, se tutto per lei, sesso, natura, immagine e senso delle cose, pensieri e affetti che le componevano lo spirito, ricordi, gusti e il contatto stesso della mia ruvida guancia sulla sua delicata, tutto, tutto era diverso; due estranei, stretti cosí -orrore - estranei, non solo l'uno per l'altra, ma ciascuno a sé stesso, in quel corpo che l'altro si stringeva. Voi non lo avete mai provato, quest'orrore, lo so; perché avete sempre e soltanto stretto fra le braccia tutto il vostro mondo nella donna vostra, senza il minimo avvertimento ch’ella intanto si stringe in voi il suo, che è un altro, impenetrabile. Eppure basterebbe, per sentirlo, quest'orrore, che voi pensaste un momento, che so! a un'inezia qualunque, a una cosa che a voi piace e a lei no: un colore, un sapore, un giudizio su una tal cosa; che non vi facessero soltanto pensare superficialmente a una diversità di gusti, di sensazioni o d'opinioni; che gli occhi di lei, mentre voi la guardate, non vedono in voi, e come i vostri, le cose quali voi le vedete, e che il mondo, la vita, la realtà delle cose qual'è per voi, come voi la toccate, non sono per lei che vede e tocca un'altra realtà nelle stesse cose e in voi stesso e in sé, senza che vi possa dire come sia, perché per lei è quella e non può figurarsi che possa essere un'altra per voi."
(Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1926)
L'amore che disunisce e che allontana. Pupille che si guardano senza conoscersi e braccia tese, rigide, secche che coprono l'altro. Amore che non è Amore ma fisicità, strazio di due corpi che si fondono senza l'ombra di una sintesi fra (senti)menti. Tema attuale allora come oggi. Il distacco, l'egoismo, il divismo e il culto del corpo. La dimensione spirituale che soccombe, la coppia che si stacca e l'io che non si regge su stesso ma necessita di un altro che, al contempo, ripudia. Relazioni instabili o inesistenti, uniche fondamenta l'autoaffermazione e l'appagamento di non so che malsano desiderio di possesso, ombre vacillanti e distrutte dall'insoddisfazione e inebetite dall'assuefazione al dominare, comandare, pretendere. Con quell'unica domanda che rimbomba nella testa, quell'eco che ci assilla...
Siamo soli?
Siamo soli?
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