-

sabato 4 febbraio 2012

"Diecimila Anni" Reportage da Scampia,NA



Ringraziamo immensamente Miriam Bonalumi per aver messo a disposizione di Spogliatevi! il suo reportage frutto di un breve viaggio nel quartiere napoletano di Scampia, insieme al gruppo scout di Ponte San Pietro.

Vi segnaliamo inoltre un libro: Ali Bruciate (link editore) di Davide Cerullo, giovane scrittore napoletano nato a Scampia.

DIECIMILA ANNI

                                                  Un pomeriggio tra le “Vele” di Scampia.

24 Agosto 2009:
“Arrestato a Scampia il boss Bastone, considerato tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia”
26 agosto 2009:
“Sedicenne morto a Scampia in uno schianto in moto: non portava il casco”
31 agosto 2009:
“Scampia, maxisequestro: droga per 15,2 milioni e armi nascoste in piazza, sotto la statua di padre Pio”
 2 settembre 2009:
“Violenza sessuale ai danni di una ragazza di 16 anni: carnefici un 19enne e sette minori tra i 15 e i 17 anni, tutti residenti nel quartiere di Scampia ...”

Non si tratta di terribili coincidenze, nemmeno di dati manipolati: benvenuti a Scampia,
estrema periferia Nord di Napoli, Italia.
 Il quartiere conta circa 80.000 anime, e vanta uno dei più grandi tassi di disoccupazione della nazione, che si aggira tra il 50% e il 75%.
Non puoi dire di conoscere veramente Scampia se non sei mai stato alle “Vele”.
 Le Vele erano sei, ora sono quattro.

le Vele, uno degli stabili

“Hanno buttato giù le uniche due belle, decenti, perché lì non era un posto adatto ai traffici della camorra. Avevano promesso che le avrebbero demolite tutte, invece eccole quì”
A parlare è Davide Cerullo, 35 anni, nato e cresciuto in una delle quattro Vele. Impossibile trovare guida più acuta ed esperta per la visita nei quattro palazzoni, edificati tra il ’62 e il ’75.
Davide spiega che all’origine si trattava di un progetto architettonico di grandi vedute, destinato a divenire un confortevole complesso residenziale.
Invece oggi è il simbolo del degrado e dell’illegalità all’italiana. 
“Tutte le volte che succede qualcosa a Napoli, tutte le volte che si parla di camorra, al telegiornale si vedono le riprese delle Vele.”
 Dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980, parecchie famiglie si insediarono abusivamente negli appartamenti restati vuoti, e sarebbe tuttora arduo fare il conteggio degli abitanti effettivi.
Davide si muove senza esitazione verso uno degli edifici, mostrando quelli che dovrebbero essere i citofoni: si tratta di pezzi di ferro arrugginiti, senza nessun tipo di comando. I citofoni non ci sono, sono stati divelti da tempo. Così la gente ha imparato a chiamarsi dal basso verso l’alto urlando a gran voce, e ogni inquilino ha un richiamo diverso per farsi riconoscere.
Entrare attraverso il cancello che conduce al pianterreno di una Vela significa essere disposti a farsi travolgere da una verità abilmente mascherata, repressa, che nessuno vorrebbe mai scoprire.
Eppure in pochi secondi ci si ritrova lì, in quella specie di corridoio corroso dal vento, pieno di tubature rotte, completamente cosparso da ‘munnezza e siringhe usate.
Alcuni bambini giocano poco lontano. Ci vedono, e corrono incontro a Davide per salutarlo. Parlano in napoletano stretto, e ci osservano stupiti. In effetti, quella non è nient’altro che la loro casa.
Sotto di noi, nell’interrato dei garage inutilizzati, un topo gigantesco sfreccia in mezzo a sacchetti, stracci e aghi.
Uno dei bambini ci osserva, ci segue: Davide gli propone di venire con noi, di seguirci nella “gita” Il suo nome è Ciro, e abita proprio là sopra.
Mentre noi camminiamo con cautela e un velo di imbarazzo, Ciro continua a percorrere avanti e indietro la nostra piccola carovana, come un cagnolino energico e impaziente, gridando “Permesso” di qua e di là.
Qualcuno prende coraggio, di fronte alla sua disarmante sicurezza, per chiedergli quanti anni abbia. “Diecimila” fa lui, serissimo, per poi darsi a uno scatto di velocità su per le scale. Saliamo per un pianerottolo, e possiamo così notare i vetri crivellati dai proiettili: attraverso quei fori trasparenti, la vista degli altri palazzoni e ancora pià cupa, più desolante.
Tra una Vela e l’altra c’è qualcosa che dovrebbe assomigliare a un giardino condominiale: un praticello
 di erba secca particolarmente invaso da siringhe e spazzatura. Lì vicino, un gruppo di ragazzi gioca in un campetto polveroso: uno di loro tiene in mano una chitarra tutta spaccata, usandola come mazza da baseball. Girandoci verso il palazzo che abbiamo appena abbandonato, notiamo parecchie persone ai balconi: anziani e giovani, perlopiù donne, che ci osservano e commentano, ovviamente in dialetto. “Come per Ciro, anche per loro quello che state facendo è estremamente stupido, fuori luogo. L’evento strano siete voi, che visitate questo degrado, e non i criminali che spacciano sotto gli occhi dei loro bambini.”
Quando Davide dice “sotto gli occhi dei bambini” non utilizza un’iperbole: gli spacciatori, i camorristi di Scampia, svolgono i loro sporchi affari proprio in questi corridoi, dove noi camminiamo tranquillamente, e spesso si servono dei bambini per i loro scambi illeciti.
Nel palazzo successivo, percorriamo un “ballatoio”: si tratta di un corridoio che si snoda lungo tutto l’edificio, diramandosi con delle scalette verso le entrate degli appartamenti di quel piano. Il ballatoio è di gomma nera, a cielo aperto. Anche lì, molte persone ci osservano un po’ sorprese, ma quando gli passiamo vicino ci salutano con un cortese “Buonasera.” Notiamo con un pizzico di inquietudine che le entrate di alcuni appartamenti non sono collegate con il corridoio, ma si gettano sul vuoto, senza una scala per raggiungerle:”quelli sono gli appartamenti abbandonati, a cui hanno distrutto le scale per evitare che entrino abusivi.”
Proseguiamo la visita attorniati da fantasmagoriche  tubature rotte, dalle quali sgorga incessantemente acqua, mentre poco lontano sosta da chissà quanto tempo lo scheletro di una macchina carbonizzata.
Per un istante, mi chiedo che aspetto avrebbe quell’enorme rudere nell’androne del mio condominio; per quanto possa sforzarmi, mi pare impossibile ricordare l’aspetto della mia casa.
Scampia, una volta arrivato, ti “inghiotte”, ti avvolge, e finchè sei lì, non puoi pe
 nsare ad altro che a quello che ti scorre sotto gli occhi. Appena scendi dal treno ed entri nel quartiere, hai la netta sensazione di appartenere fisicamente a quel posto, che paradossalmente, diviene subito familiare.
Nel comparire in quel mondo surreale tutti si accorgono della tua presenza, sembra che tutti sappiano che sei arrivato: è accaduto di incontrare per la strada una macchina nera, dalla quale un uomo ci osservava attento: solo più tardi abbiamo scoperto che si trattava di un camorrista, che ci contava, come  per vedere quanti “stranieri” avessero invaso il suo territorio.
La visita alle Vele si conclude lì, davanti alla caserma dei carabinieri, a pochi metri da una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa: la contraddizione è  palpabile nell’aria, fa quasi rabbrividire.
“I carabinieri? Sì ci sono, sanno tutto quello che succede, ma difficilmente agiscono, perché sono del posto, sono conosciuti, hanno paura che la camorra si vendichi sulla loro famiglia…”
Davide conosce bene ogni dinamica di Scampia, perché, a differenza di Roberto Saviano, giornalista acutissimo e sorprendente, egli ha soltanto la licenza media, ma quello che racconta l’ha vissuto sulla sua pelle.
Dopo un’adolescenza vissuta a stretto contatto con la camorra, Davide è stato messo in carcere, dove, come lui stesso racconta, ha avuto una graduale conversione, ed uscito da lì si è sentito un uomo nuovo, pronto a combattere contro il sistema che un tempo ha rischiato di distruggere la sua stessa vita.
Un segno toccante del suo cambiamento è l’uscita del suo primo libro, “Ali bruciate”,scritto a quattro mani con un sacerdote, nel quale racconta gli orrori del suo quartiere, ma nel contempo la speranza di un futuro migliore, che può e deve nascere dai bambini.
E’ dai bambini, futuri uomini e donne di Scampia, che deve arrivare la svolta: finchè i grandi li abitueranno a convivere con la delinquenza, finchè qualcuno gli insegnerà che per avere soldi tutto è lecito, Scampia continuerà a sprofondare nel male.
Mentre ci allontaniamo, lancio un ultimo sguardo a quegli enormi ammassi di pietra, che impediscono agli ultimi, timidissimi raggi di sole di riscaldare la terra.
Vorrei poter piangere, per l’ingiustizia, o forse per la forza di Davide, o forse per entrambi i motivi…ma mi volto, di scatto, cancello ogni emozione per riporre tutta la mia attenzione al marciapiede, perché a Scampia, se non guardi a terra, diecimila aghi sono lì, pronti a pungerti.
Miriam Bonalumi. P.S.P 1°

Nessun commento:

Recenti