di Sara L.
Premessa: pubblico questo articolo pensando che non sia facilmente condivisibile... chi è lontanto dalla realtà trattata può essere poco interessato, chi vi è calato può non apprezzare la mia personale finestra aperta sulla parte finale della storia di Chiara. In entrambi i casi: non me ne frega un caz, perdonate il francesismo cari lettori e concedete una valvola di sfogo ai sentieri intricati del mio pensare e ai sentimenti che circondano gli stessi.
La notizia ci raggiunge via sms mentre
siamo al campo: io e il mio clan (per chi non parla scoutese, il
gruppo di ragazzi scout che hanno tra i sedici e i vent’anni) ci
scuotiamo da quel leggero torpore che ti prende dopo un bel giro in
montagna e iniziamo a chiederci come è successo.
I dettagli li abbiamo appresi nei
giorni successivi dai giornali: non è questa la sede in cui
intentare processi in merito alle responsabilità, questo è compito
della magistratura.
Chiara è morta mentre era al campo,
uno dei momenti più entusiasmanti di tutto l’anno.
Chiara è morta durante un pomeriggio
di gioia, ma tanto dolore e vuoto lascerà nei cuori della sua
famiglia, degli amici e di chi con lei ha condiviso la vita di
squadriglia e di reparto: il sapore del cibo cucinato sul fuoco,
l’odore di umido sui vestiti quando passi la notte fuori, i canti
che accompagnano il cammino, le amicizie inseparabili che nascono dal
crescere insieme, aiutandosi a vicenda.
Inutile dire che queste tragedie mi
fanno pensare, immagino che suscitino lo steso effetto su chi, come
me, fa il capo scout. Durante le attività e in modo ancor più
marcato durante le uscite e i campi, noi capi condividiamo la
quotidianità coi ragazzi: mangiamo con loro, camminiamo con loro,
portiamo lo zaino come loro… siamo spesso all’aria aperta,
maneggiamo attrezzi, utilizziamo il fuoco. Talvolta capita di farsi
male e noi siamo pienamente responsabili di ciò che accade loro:
fino alla maggiore età rispondiamo civilmente dei danni che compiono verso terzi, se succede loro qualcosa ne rispondiamo in sede civile
e penale; anche dopo la maggiore età rimane comunque un certo grado
di corresponsabilità, perlomeno dal punto di vista etico.
Nei cinque anni e più durante i quali
sto crescendo come capo, diversi sono stati i piccoli e grandi
incidenti che sono capitati ai “miei ragazzi”, come uso
chiamarli. Uno di loro, che quando è arrivato l’sms della morte di
Chiara stava scherzando con me, l’ho visto scendere dall’ambulanza
su una barella dopo una caduta con la bicicletta, ormai 4 anni fa: il
viso tutto sporco di sangue. Rivedo nella mia testa la scena come se
fosse ieri: corro verso la barella, lo chiamo ma non mi risponde. Lo
chiamo di nuovo, dopo un po’ apre piano piano gli occhi: un tuffo
al cuore… è vivo. Solo chi l’ha provato sa cosa passa nel cuore
e nella testa di chi vede un ragazzo che gli è affidato arrivare in
ospedale in quelle condizioni (o ne vede un altro con un coltello da
carne conficcato nel polpaccio!). Ringrazio la mia buona stella, San Giorgio, le entità protettrici di ogni religione del mondo che custodiscono gli scavezzacollo: Paolo è lì che legge l’sms con me e ancora oggi, quando ripenso a qual giorno, sono in bilico tra abbracciarlo e strozzarlo.
Chiara non è stata così fortunata e
non lo sono stati i suoi parenti, i suoi amici, i suoi capi, le
guide, gli esploratori e gli altri componenti del Cinisello Balsamo:
il mio pensiero va a tutti loro, e soprattutto a te, Chiara...
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