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giovedì 9 febbraio 2012

Lettera Aperta al Ministro Anna Maria Cancellieri

di Sara L.


Gentile Ministro,
ho intenzionalmente fatto passare alcuni giorni dalla sua esternazione durante un’intervista al TgCom 24, con la quale dichiarava: “Gli italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città e magari accanto a mamma e papà, ma occorre fare un salto culturale. Il mondo moderno tende sempre più alla flessibilità, bisogna confrontarsi con il mondo che è cambiato e Monti non voleva mancare di rispetto a chi non ha lavoro, è stata una battuta male interpretata ed enfatizzata”

Durante questi giorni ho riflettuto, concentrandomi soprattutto per capire la motivazione che stava alla base della motivazione da Lei assunta. Ebbene, Le devo confessare che mi sono arresa: mi sono arresa di fronte all’arroganza del giudizio di una situazione che non conosce. Perché la realtà è questa, Ministro: Lei parla, e soprattutto giudica, una situazione che non vive, non conosce e da cui è visibilmente lontana. Cercherò, nelle righe che seguono, di fare delle precisazioni, su cui invito chiunque sia adulto e in posizione di potere a fare delle riflessioni.

  • Innanzitutto è decisamente poco opportuno fare delle generalizzazioni, hanno scarsa efficacia argomentativa, sono molto spesso assimilabili a quanto era credenza diffusa nelle città americane di prima immigrazione italiana, ovvero: “gli italiani puzzano d’aglio”.
Se Lei e i suoi colleghi conosceste davvero il mondo giovanile evitereste tali generalizzazioni, prendendo atto di quante differenziazioni ci siano in relazioni a variabili quali: sesso, istruzione, istruzione dei genitori, reddito personale, reddito familiare, regione di nascita, media dei libri letti in un anno, condizioni di salute fisica e psichica… potrei proseguire con l’elenco, ma un bravo statistico potrebbe sicuramente apportare un contributo migliore del mio: vi invito in merito a leggere qualche saggio di Chiara Saraceno, per appurare quanto sostengo in merito alla scarsa possibilità di generalizzare quando si prende in considerazione la categoria “giovani”.




  • Gli italiani, soprattutto i giovani, non sono mentalmente fermi al posto fisso, semplicemente molti di loro vi aspirano: il paradosso che in questo modo si configura è che ad aspirarvi sono gli stessi giovani tacciati tempo fa di essere “bamboccioni”. Mi spiego meglio: per uscire dalla condizione di “bamboccione” (inteso come: giovane che vive a casa con i genitori, studiando o lavorando) è necessario, come ovvio, emanciparsi dal “comodo” nido familiare, ovvero acquistare casa con un mutuo o prendere un appartamento in affitto. Ebbene: per ottenere un mutuo è ormai imprescindibile avere un contratto a tempo indeterminato, per un affitto nella stragrande maggioranza dei casi il proprietario, oltre a richiedere una caparra elevata, chiede di vedere le ultime tre buste paga: che effetto fa mostrare compensi da Co. Co. Pro., “job on call” o derivanti da contratti a termine? L’effetto è quindi che, per uscire dalla condizione di  bamboccioni, bisogna avere una certa stabilità lavorativa? E se questa si raggiunge solo molto tardi (o in alcuni casi mai) che succede? Lascio a Lei l’ovvia risposta.

  • Affrontiamo infine il nodo del “lavorare vicino a casa di papà e mamma”. La situazione in questo caso appare già più rosea: il giovane ha un lavoro! (chiedo venia per l’ironia).
Ho tre osservazioni da fare: innanzitutto un giovane che cerca lavoro spesso non ha come priorità il cercarlo vicino a casa, ha come priorità il trovarlo e basta. Secondariamente l’essere radicati su un territorio non è necessariamente un male: ha mai pensato (in questo caso la generalizzazione è opportuna in quanto vero fenomeno generazionale) che questa è la generazione di giovani che più di tutte quelle che l’hanno preceduta, è impegnata nel mondo del volontariato? La mia esperienza mi spinge a dire che fare dalle 2 alle 3 riunioni serali settimanali a cui si aggiunge l’impegno del fine settimana spesso dà modo di preferire un lavoro vicino a casa, così che magari sia possibile, tra la timbratura di uscita e la riunione/servizio/progetto, fare una doccia e magari mangiare un panino o (benedizione del cielo!) un piatto di pasta seduti a tavola. Un’ultima cosa infine: nell’incosciente ipotesi di avere un figlio in questo mondo incerto, siamo sicuri che sia così positivo lavorare lontano da casa di mamma e papà, in un Paese in cui la ricettività potenziale degli asili nido è così insufficiente rispetto al fabbisogno? I nonni restano, per fortuna, una valida soluzione alternativa, soprattutto in periodo di ristrettezze economiche.

Potrei dilungarmi ancora molto, Ministro, ma non La voglio tediare. Voglio concludere io con una generalizzazione questa volta: noi giovani stiamo pagando, insieme a molte altre categorie, lo scotto di questa crisi… PRETENDIAMO maggiore rispetto, TUTTI.         

                                                                                                                                              Sara L.

2 commenti:

Francesco Mancin ha detto...

Ringrazio fortememte Sara L. per il contributo e le ottime provocazioni (intellettuali)

Sara L ha detto...

Figurati! comunque se ti capita leggi anche tu qualche saggio della Saraceno: un'autrice scoperta grazie al fatto che servizio sociale è sotto la facoltà di sociologia! =)

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