di Sara L.
Gentile Ministro,
ho intenzionalmente fatto passare alcuni giorni dalla sua
esternazione durante un’intervista al TgCom 24, con la quale dichiarava: “Gli
italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città
e magari accanto a mamma e papà, ma occorre fare un salto culturale. Il mondo
moderno tende sempre più alla flessibilità, bisogna confrontarsi con il mondo
che è cambiato e Monti non voleva mancare di rispetto a chi non ha lavoro, è
stata una battuta male interpretata ed enfatizzata”
Durante questi giorni ho riflettuto, concentrandomi
soprattutto per capire la motivazione che stava alla base della motivazione da
Lei assunta. Ebbene, Le devo confessare che mi sono arresa: mi sono arresa di
fronte all’arroganza del giudizio di una situazione che non conosce. Perché la
realtà è questa, Ministro: Lei parla, e soprattutto giudica, una situazione che
non vive, non conosce e da cui è visibilmente lontana. Cercherò, nelle righe
che seguono, di fare delle precisazioni, su cui invito chiunque sia adulto e in
posizione di potere a fare delle riflessioni.
- Innanzitutto è decisamente poco opportuno fare delle generalizzazioni, hanno scarsa efficacia argomentativa, sono molto spesso assimilabili a quanto era credenza diffusa nelle città americane di prima immigrazione italiana, ovvero: “gli italiani puzzano d’aglio”.
Se Lei e i suoi colleghi conosceste davvero il mondo
giovanile evitereste tali generalizzazioni, prendendo atto di quante
differenziazioni ci siano in relazioni a variabili quali: sesso, istruzione,
istruzione dei genitori, reddito personale, reddito familiare, regione di
nascita, media dei libri letti in un anno, condizioni di salute fisica e
psichica… potrei proseguire con l’elenco, ma un bravo statistico potrebbe
sicuramente apportare un contributo migliore del mio: vi invito in merito a
leggere qualche saggio di Chiara Saraceno, per appurare quanto sostengo in
merito alla scarsa possibilità di generalizzare quando si prende in considerazione
la categoria “giovani”.
- Gli italiani, soprattutto i giovani, non sono mentalmente fermi al posto fisso, semplicemente molti di loro vi aspirano: il paradosso che in questo modo si configura è che ad aspirarvi sono gli stessi giovani tacciati tempo fa di essere “bamboccioni”. Mi spiego meglio: per uscire dalla condizione di “bamboccione” (inteso come: giovane che vive a casa con i genitori, studiando o lavorando) è necessario, come ovvio, emanciparsi dal “comodo” nido familiare, ovvero acquistare casa con un mutuo o prendere un appartamento in affitto. Ebbene: per ottenere un mutuo è ormai imprescindibile avere un contratto a tempo indeterminato, per un affitto nella stragrande maggioranza dei casi il proprietario, oltre a richiedere una caparra elevata, chiede di vedere le ultime tre buste paga: che effetto fa mostrare compensi da Co. Co. Pro., “job on call” o derivanti da contratti a termine? L’effetto è quindi che, per uscire dalla condizione di bamboccioni, bisogna avere una certa stabilità lavorativa? E se questa si raggiunge solo molto tardi (o in alcuni casi mai) che succede? Lascio a Lei l’ovvia risposta.
- Affrontiamo infine il nodo del “lavorare vicino a casa di papà e mamma”. La situazione in questo caso appare già più rosea: il giovane ha un lavoro! (chiedo venia per l’ironia).
Ho tre osservazioni da fare: innanzitutto un giovane
che cerca lavoro spesso non ha come priorità il cercarlo vicino a casa, ha come
priorità il trovarlo e basta. Secondariamente l’essere radicati su un
territorio non è necessariamente un male: ha mai pensato (in questo caso la
generalizzazione è opportuna in quanto vero fenomeno generazionale) che questa
è la generazione di giovani che più di tutte quelle che l’hanno preceduta, è
impegnata nel mondo del volontariato? La mia esperienza mi spinge a dire che
fare dalle 2 alle 3 riunioni serali settimanali a cui si aggiunge l’impegno del
fine settimana spesso dà modo di preferire un lavoro vicino a casa, così che
magari sia possibile, tra la timbratura di uscita e la riunione/servizio/progetto,
fare una doccia e magari mangiare un panino o (benedizione del cielo!) un
piatto di pasta seduti a tavola. Un’ultima cosa infine: nell’incosciente
ipotesi di avere un figlio in questo mondo incerto, siamo sicuri che sia così
positivo lavorare lontano da casa di mamma e papà, in un Paese in cui la
ricettività potenziale degli asili nido è così insufficiente rispetto al
fabbisogno? I nonni restano, per fortuna, una valida soluzione alternativa,
soprattutto in periodo di ristrettezze economiche.
Potrei dilungarmi ancora molto, Ministro, ma non La voglio
tediare. Voglio concludere io con una generalizzazione questa volta: noi
giovani stiamo pagando, insieme a molte altre categorie, lo scotto di questa
crisi… PRETENDIAMO maggiore rispetto, TUTTI.
Sara L.
2 commenti:
Ringrazio fortememte Sara L. per il contributo e le ottime provocazioni (intellettuali)
Figurati! comunque se ti capita leggi anche tu qualche saggio della Saraceno: un'autrice scoperta grazie al fatto che servizio sociale è sotto la facoltà di sociologia! =)
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