di
Dennis Salvetti
Nel caos politico sociale religioso, insomma
a trecento sessanta gradi, sorge spontaneo il ricorso ad uno scoglio che
resista agli impetuosi scombussolamenti in atto, un qualcosa che dia
(quantomeno) una sensazione di sicurezza e stabilità.
Io questo punto fisso l’ho trovato nella musica,
ce n’è diversa e di tutti i tipi per qualsiasi ora del giorno e della notte,
per qualunque situazione (insomma l’avrete capito sono abbastanza “malato” di
musica). È di pochissimi giorni fa la morte di un grande artista italiano,
Lucio Dalla, che, per quanto io personalmente abbia gran poco seguito, rimane
comunque uno dei migliori produttori italiani di musica italiana (lo so lo so,
la parola produttori piace poco fa pensare a meccanismi commerciali, ma questo
in sostanza è un musicista: un produttore di musica). E fa veramente pensare,
che i “grandi” della canzone italiana risalgano in buona parte agli anni
sessanta ed alla rivoluzione culturale del periodo. È un poco gratificante
segno della stagnazione di produzione musicale del nostro Paese (certo se
guardiamo oltre confine ci si imbatte anche in esperienze forse anche peggiori,
ma dopotutto a noi è toccato Gigi d’Alessio …), ma vabbè non è su questo che
intendo sindacare ora.
Piuttosto tornando al titolo, constatavo che
riascoltando “vecchie” canzoni si ritrovavano descritte situazioni
attualissime: conflitto generazionale , la difficoltà di essere giovani e di
diventare adulti, conflitto sociale, etc. Ed in particole una canzone mi aveva
colpito profondamente per il significato anche politico sottostante Won’t
get fooled again de the Who, la cui sostanza potrebbe essere
riassunta in un’unica frase: “cambiare per non cambiare”. Scritta e pubblicata
nel 1971 sia come singolo che nell’album Who’s next, letta tenendo
presente la situazione attuale (italiana in particolare) è un inno ai
cambiamenti che in realtà non vogliono mutare di una virgola, alle rivoluzioni
che finiscono per ridursi ad un ritorno al passato. In una situazione dove
tutti chiedono di tutto per lasciare tutto immutato (sistemi di potere,
privilegi, soprusi) questa canzone risulta assolutamente riadattabile al
presente, nonostante sia stata scritta oramai quarant’anni fa.
Qui di seguito il video tratto da “The kids are
alright” del 1979 e il testo.
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