di Dennis Salvetti
È da oramai due
mesi che ci stanno tediando e tartassando con questo malnato problema
dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi, ed oggi (28/09 n.d.a.) è stato
raggiunto il culmine di tale guazzabuglio di opinioni e richiami da parte della
parata di falchi, colombe e pitonesse del PdL: dopo le minacciate (e minacciose
nonché millantate, spiegherò poi perché) dimissioni in massa dei parlamentari
pdllini, è giunto l’annuncio peggiore per un governo già gravido di problemi
alla nascita: le dimissioni “volontarie” dei ministri PdL (tra cui il sen.
Quagliariello che sembrava refrattario sulle dimissioni dal seggio senatorio),
facendo scoppiare la peggiore (ed insulsa) crisi politica dal 1992. Questa
crisi gravissima (e totalmente pretestuosa) non ha alcun fondamento giuridico
sull’argomentazione addotta: Berlusconi, che lo voglia oppure no (e con lui i
suoi galoppini e reggicalze), il seggio al Senato lo deve abbandonare punto.
Questo stante alle norme vigenti. Il caos scatenato dalle vicende giudiziarie
del “nano di Arcore” e dalle scenate degli accennati galoppini andrà a
ripercuotere i suoi effetti solamente in capo al governo Letta (che non ho mai
apprezzato e sempre avversato, frutto a mio modesto parere di un ricatto di
alcuni e dell’imbecillità di altri), e da questo sui cittadini, perché, come
evidenziato da molti, in questo periodo emergono tutti gli appuntamenti fiscali
ed economici generalmente affrontati nella legge di stabilità (ex finanziaria),
quest’anno per di più gravata dalla scellerata abolizione dell’IMU senza che si
fosse definita una via d’uscita alternativa, che rischia di provocare uno
sconquasso negli italici portafogli (si parla di seconda rata IMU unita a TARES
e all’aumento dell’IVA, senza dimenticare le accise sulla benzina e tutto il
resto). Questo mostra di quanto se ne freghino dell’interesse e del bene del Paese
le destre, è segno evidente di cosa costituisca loro primario e supremo
obbiettivo: fare sì che il loro capo resti culo appiccicato al suo trono. E non
paghi abbastanza (evidentemente anche degli stipendi, nonché di tutte le
ulteriori prebende e vitalizi) pagati di tasca pubblica, con assoluta e cieca
arroganza e protervia addossano le colpe sulla testa di un provato PD, che non
è certo incolpevole (e che forse se l’è andata a cercare), ma il casino che si
sta scatenando ha un solo responsabile: il PdL (pur nella sua forma
plurisoggettiva di servi, giullari, puttane e guardaspalle). Quando nella
storia della Repubblica è stata messa in pericolo in un modo così stupido ed
infantile la tenuta delle istituzioni? E tutto per le vicende giudiziarie
PRIVATE, per quanto si tratti di un personaggio pubblico, di un uomo.
Questo forse servirà ai cittadini ed elettori a guardare
in faccia la realtà, e vedere finalmente totalmente a nudo il vero volto di
questo re in una corte di servi? Spero, ma non mi illudo più di tanto, la mia fiducia è davvero ai
minimi termini.
Servirà alle forze politiche (mi riferisco in particolare
al PD) a rendersi conto di aver perso un mucchio di tempo (e denaro, denaro
pubblico) e credibilità per aver giocato e stato al giogo di questo (oramai si
può dire senza timore di incorrere in ingiuria e diffamazione) criminale?
Spingerà questa situazione a formare un governino di scopo che faccia una legge
di stabilità dignitosa e una elettorale decente, per giungere a nuove elezioni?
Lo spero, ma anche qui illudersi porta solo allo sgradevole risultato di ulcere
allo stomaco ed inutile stress. Soprattutto bisogna sperare che il Movimento 5
Stelle finalmente capisca che deve decidere di decidere, che non può permettersi
di aspettare di governare in esclusiva (e probabilmente per inerzia), perché
non è detto che ciò accadrà e se accadrà bisogna vedere su che razza di ceneri
fumanti governeranno se non si danno una mossa anche loro.
Il ricatto ordito ad Arcore mina la già debole compagine
governativa, come detto, e fa crollare la già scarsa fiducia internazionale
(anche sui mercati che ci piaccia o meno), “rigirando la frittata” (ultimissima
e stupida boutade del PD) in testa ai democratici. Partiamo dalle dimissioni
ministeriali. Che altro dire? Il fatto stesso di abbandonare un governo in
difficoltà che si sta apprestando ad affrontare lo scoglio delle politiche
fiscali ed economiche, che rischiano di portare pesantissimi aggravi nelle
finanze già provate, è un gesto veramente irresponsabile (per non dire altro),
soprattutto tenendo conto che un anno fa ingoiavano e si sorbivano senza
fiatare i diktat governativi (visti come un male necessario).
E ora passiamo alle dimissioni parlamentari. Minacciose e
millantate dicevo. Il perché è semplice: la Costituzione dice che non esiste il
vincolo di mandato, e questo a tutela della libertà del parlamentare, che deve
rendere conto della sua attività solo di fronte all’elettore (sempre che non si
tratti di attività illecite, allora lì deve intervenire la magistratura);
inoltre sull’ammissibilità dei parlamentari giudica la camera di appartenenza,
sempre per tutelare il parlamentare da illegittime pressioni, ma anche per
tutelare la stessa istituzione parlamentare da colpi di mano. Su queste linee
si inserisce la disciplina dei Regolamenti parlamentari, per cui le dimissioni
vengono calendarizzate, il parlamentare espone all’aula le sue ragioni, poi si
passa al voto a scrutinio segreto (generalmente una prima votazione rifiuta le
dimissioni). Solo per questa operazione, che deve essere moltiplicata per 98
deputati e 98 senatori del PdL, andrebbe sprecato una enormità di tempo che
potrebbe essere più opportunamente e (magari) proficuamente utilizzato per
sciogliere i nodi economici e fiscali, invece di parare il culo ad un vecchio
condannato. Ma non bastasse ciò. Infatti il “Porcellum” impone che qualora
un eletto rinunci al suo seggio (anche perché è possibile per un candidato
proporsi in tutte le liste del proprio partito presenti in Italia) gli subentri
il primo non eletto che segue nella lista dei candidati, e quindi se tutti ma
veramente tutti i pdllini candidatisi alle ultime elezioni recepiranno il
diktat del Capo, seguendo le regole (e la prassi di rifiutare al primo voto la
questione) potrebbero volerci anni (!) per giungere alla vacanza di tutti i
seggi PdL. E, voglio ricordarlo, questo a scapito di ben più rilevanti
questioni. Se questo è la loro idea di “bene del Paese”…
Finiamola qui con l’introduttiva (forse un po’
lunghetta?) critica politica. Passiamo dunque al succo del discorso: la sentenza
di condanna di Silvio Berlusconi. Innanzitutto è dovuta una breve spiegazione
dei fatti che fondano questa sentenza (nell’interesse della verità dei fatti,
come ben sa ogni giornalista d’Italia). Per arrivare a questa enucleazione di
cosa abbia indotto tre giudici di primo grado, tre di appello a condannare a
quattro anni di reclusione, nonché l’interdizione dai pubblici uffici (quindi
la decadenza da senatore), ricostruzione accettata e ritenuta non viziata da
cinque giudici di Cassazione, è stato un lavoraccio, ho cercato di risultare
chiaro, e spero di non essere caduto in errore (o peggio, tipo falsare volutamente o meno i fatti accertati,
questo un giornalista non lo farebbe mai, ma io non appartengo a questa
categoria), ma del resto in 208 (!) pagine di sentenza, qualcosa può essermi
sfuggito e in qualche errore posso esser caduto (non dovrei, credo, averlo
fatto). Partiamo con il dire che la maggiore obiezione mossa alla sentenza,
ossia l’irrilevanza e quindi il perché di una condanna basata su un’evasione “contenuta”,
è falsa. O meglio, deriva da una falsa rappresentazione dei fatti addebitati (e
se persino i giuristi possono incorrere in questi errori di lettura figuriamoci
chi ne è completamente digiuno), che porta a conclusioni inesatte. Ciò che
fonda la condanna è sì l’evasione tra gli anni 2001 e 2004 (circa) e pertanto
riguarda solo pochi milioni (pochi!? milioni!? pochi 14 mln € accertati?!?!),
ma la ricostruzione della Procura della Repubblica di Milano (accertata dai
giudici) parte da molto più lontano, facendo cadere in prescrizione i fatti
precedenti il periodo indicato. Risale alla metà degli anni ’80 l’ideazione e
la messa in atto di un sistema definito criminale, al cui vertice stava
Berlusconi e con lui altri diretti stretti collaboratori (tra i quali Agrama,
Lorenzano, Galetto et altri), ai fini di evadere la tassazione (IVA in
particolare) sulla cessione di diritti televisivi, contratti con alcune major
USA (tipo Fox, Paramount, Universal, etc). In una prima fase,
approssimativamente tra gli anni ’80 e il 1995 dicono i giudici, il meccanismo
dell’acquisto di tali diritti era strutturato così: trattazione diretta con le
major ad opera del “comparto B” di Fininvest (una serie si società con base all’estero, se non ho capito male)
o di società off shore (con base alle Isole Vergini Britanniche ed altri
paradisi fiscali) o ancora da parte di società apparentemente terze (perché in
mano a soci di Berlusconi), quindi i diritti acquisiti girovagavano in una
serie più o meno lunga di società appartenenti alla Fininvest o apparentemente
terze che gonfiavano illegittimamente ed irragionevolmente i prezzi, diritti
che venivano oltretutto frazionati durante questi passaggi (cosicché risultasse
impossibile compararli), infine venivano riuniti in un ultimo passaggio tramite
una società maltese (assolutamente priva di potere decisionale, gestionale ed
economico) che li faceva approdare in Mediaset. Con il fine ultimo di
affrontare un minore carico fiscale in Italia e di creare fondi neri all’estero.
Questo sistema è stato confermato da numerose testimonianze e altri mezzi di
prova. In una seconda fase (dal ’95 a circa gli anni 2000) tutto il comparto di
passaggi infragruppo e tramite società terze venne progressivamente diminuito ed assorbito da una società con base maltese (la IMS ltd, che aveva anche una sede
in Lugano, sostituendo una filiale Fininvest), al fine di rendere più “trasparenti”
i passaggi, in vista di una prossima quotazione in borsa di Mediaset. Successivamente
(dopo il 2000) la IMS ltd veniva sostituita da Mediatrade (inglobata poi in
RTI). Solo che, stando a tutte le testimonianze, questa serie di società erano
tutte prive di qualsivoglia potere decisionale o anche solo autonomia
finanziaria e spesso senza una effettiva struttura commerciale, tanto più che
chi contrattava con le major (secondo i testimoni che dipendevano da queste)
erano personaggi vicini a Berlusconi o che si presentavano come diretti
inviati e prima di chiudere cercavano l’approvazione dei vertici Fininvest
(quando non addirittura Berlusconi in persona), che spesso agivano senza
rendere conto al cda della società. Il tutto con un meccanismo “fraudolento di
evasione fiscale sistematicamente e scientificamente attuato” (sentenza del
Tribunale di Milano del 26/10/2012).
A questo punto sorge il problema della colpevolezza,
infatti la difesa ha provato ad avanzare l’ipotesi che si sia trattata di una
truffa ai danni di Berlusconi, ma quest’ipotesi è stata esclusa dai giudici perché
risulta inverosimile una così completa e continuativa incompetenza del vertice
nello scegliersi i collaboratori, tanto più che serviva uno sguardo d’insieme
per pianificare un tale complesso sistema di evasione. Nella sentenza dell’agosto
scorso la Cassazione rincara la dose evidenziando “l'assoluta
inverosimiglianza dell'ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta
di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi (proprio in quello
che è il suo campo d'azione e nel contesto di un complesso meccanismo da lui
stesso strutturato e consolidato) da parte dei personaggi da lui scelti e
mantenuti nel corso degli anni in posizioni strategiche e nei cui confronti non
risulta essere mai stata presentata denuncia alcuna”. Ulteriore argomentazione a
favore della condanna è il quesito “cui prodest?” a chi, effettivamente, andava
a vantaggio questo sistema? La risposta dei giudici dei tre gradi anche qui è
la medesima: ''Il criterio dell'individuazione del destinatario
principale dei benefici derivanti dall'illecito fornisce un risultato
convergente con quello che si è visto essere l'esito dell'apprezzamento
delle prove compiuto dai due gradi di merito: esso indica, cioè, in Silvio
Berlusconi - ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di
anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le
aziende a lui facenti capo in vario modo - il soggetto che in ultima analisi,
anche dopo l'assunzione della veste di azionista di maggioranza, continuava a
godere della ricaduta economica del sistema praticato''.
Insomma si è ritenuto oltre ragionevole dubbio che il
sistema evasivo sussistesse e che questo fosse da imputarsi (anche) a Silvio
Berlusconi che dell’azienda è stato a capo e comunque azionista di maggioranza.
Prima di concludere questa lunghissima (e tediosissima!)
spataffiata sul caso che sta facendo (o meglio, ha fatto) sprofondare questa
flebile e debole maggioranza di governo, occorre elencare le argomentazioni
giuridiche a sostegno della decadenza di Berlusconi dal seggio senatorio.
Parto col dire cosa prevede la Costituzione, riguardo
cause sopravvenute di ineleggibilità. L’articolo 66 prescrive che la Camera di
appartenenza del condannato è competente a giudicare (oltre che dei titoli di
ammissione) anche delle cause sopravvenute di ineleggibilità ed incompatibilità
dei propri componenti. Vuole forse dire che la Camera, mediante un giudizio
politico, può ribaltare il giudicato penale? No, perché bisogna leggere anche
il secondo comma dell’articolo 68 che prevede la necessità dell’autorizzazione
della Camera di appartenenza per sottoporre un suo membro a privazioni della
libertà personale (a cui si aggiungono molti strumenti d’indagine, come le
intercettazioni), salva, però, l’ipotesi di esecuzione di una sentenza irrevocabile
di condanna. Quindi il voto della camera risulta una mera presa d’atto del
giudizio svolto dai giudici (sempre che non venga riconosciuta un'attività
illegittima da parte della magistratura), se così non fosse sorgerebbe un
conflitto d’attribuzioni (e il giudizio verrebbe rimesso all’apprezzamento
della Corte Costituzionale).
Non bastassero queste norme, si può volgere lo sguardo al
codice penale, dove vengono disciplinate in via generale le pene accessorie
(tra le quali rientra anche l’interdizione dai pubblici uffici). All’articolo
29 troviamo che qualora la condanna preveda una pena non inferiore a 3 anni di
reclusione, l’interdizione dai pubblici uffici è prevista per cinque anni. Ma i
reati tributari sono disciplinati mediante una legislazione speciale e quindi
derogatoria di quella codicistica. Perciò si dovrà applicare questa disciplina
che si trova all’articolo 12 del decreto legislativo 74/2000, per il quale l’interdizione
dai pubblici uffici è da determinarsi per un periodo compreso tra uno e tre
anni per i reati di cui agli articoli 2, 3 e 8 dello stesso decreto. Il reato attribuito
e per il quale è stato condannato Berlusconi è quello di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti (vedi ricostruzione dei fatti)
disciplinato dall’articolo 2, vien di conseguenza che Berlusconi potrà essere
condannato, e questa decisione è stata rinviata dalla Corte di Cassazione alla
Corte d’Appello di Milano, fino a tre anni di interdizione.
Ma …, direte voi, ‘sta legge Severino? Che c’entra
allora? Bene. La cd legge Severino è il decreto legislativo 235/2012 (approvato
a larga maggioranza e senza grossi brontolii da parte dal PdL, che allora se ne
attribuì addirittura la paternità, e non sto scherzando: Legge Severino figlia di nessuno,
Quando al PdL piaceva il decreto Severino)
al cui articolo 3 prevede che in ipotesi di incandidabilità sopravvenuta nel
corso del mandato elettivo parlamentare, ossia in caso di condanna definitiva
con pena non inferiore a due anni di reclusione per delitti non colposi per i
quali sia prevista una pena massima non inferiore a quattro anni, il pubblico
ministero competente deve inviare alla camera di appartenenza la sentenza, che
dovrà deliberare ai sensi del l’art. 66 Cost (vedi su), il reato addebitato
prevede una pena massima pari a 6 anni si reclusione, quindi fate voi. La disciplina sarebbe applicabile
abbastanza tranquillamente, in quanto più che imporre un nuovo modello sanzionatorio,
sembra quasi una specificazione (qualora il reato coinvolga un parlamentare)
del procedimento da adottare e già previsto da altre norme. In più c’è da dire
che fino allo scoglio Berlusconi la legge è stata applicata ben 17 volte contro
consiglieri regionali (per i quali è necessaria la firma del Presidente del
Consiglio dei Ministri, nel quale Consiglio dei Ministri sedevano o comunque banchettava anche il PdL, e senza il voto del Consiglio di appartenenza) e altre
decine di volte contro consiglieri provinciali e comunali, anche per reati
prescritti, senza che polveroni si sollevassero, e nessuno, nemmeno i diretti
interessati (salvo qualche ovvio malumore) scatenassero un putiferio su
irretroattività, incostituzionalità, Corte di Strasburgo etc (Legge Severino: già 37 decaduti).
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