di
Francesco Mancin
Qualche giorno fa stavo guidando in direzione Bergamo, finestrino abbassato, mano fuori penzolante e il magnifico panorama di Città Alta illuminanto dal sole a meridione delle 2 del pomeriggio.Una visione quasi estatica, che oltre a rallegrarmi, ha provocato in me un flusso di coscienza sulla bellezza della terra bergamasca. E sul presunto senso di appartenenza.
Chiedetevi cosa sia il senso di appartenenza, o quantomeno quali siano i "sentimenti" ad esso associati e secondo me scoprirete che, oltre alle varie ed imprecise definizioni, non riuscireste ad inquadrarlo senza sfociare nelle frasi fatte e nei concetti banali.
Mi sono convinto che non solo il senso di appartenenza non possa esistere di per sè, ma anche che non sia in ultima analisi legittimo "coltivarlo".
Mi spiego: Appartenenza, nella sua concezione semantica etnografica intende una "tensione" (che potremmo metaforicamente graduare dall'affetto all'amore senza termini) verso quel legame che percepiamo con la terra in cui abitiamo, presupponendo che in quella terra ci siamo nati (Questo presupposto verrà poi chiarito).
Tale legame si può schemattizzare con l'enunciato "Io appartengo alla terra X", "Io provengo da X", "Io sono nato e abito a X".
L'appartenenza quindi si può configurare nel significato di legame di subordinazione alla terra d'origine.
Il secondo livello della semantica di Appartenenza, fermo restando il presupposto di nascita, si fonda però su "tensioni" diverse, che potrebbero rientrare nel concetto giuridico di Possesso. Per chiarire si tratta di una concezione esprimibile attraverso gli enunciati "La terra X mi appartiene perchè vi abito e vi sono nato", "la terra X è mia perchè ci sono affezionato", "Io amo la mia (inteso come possesso) terra"
In questa seconda accezione l'appartenza quindi instaura un legame dominante dell'abitante sulla terra.
Da notare che tale secondo significato può essere associato:
- all'appartenenza per vera e propria proprietà,
- ad un senso di profonda devozione che deriva da una concezione sostanzialmente mistica della terra d'origine
- a quella che a mio parere può essere una degenerazione del principio solidaristico o derivante da un forte e costante senso del dovere "locali"
Sono altresì convinto che tali strutture semantiche influenzino notevolmente la nostra visione dell'appartenenza e, come potete capire, si tratta di strutture molto plasmabili e strumentalizzabili.
Ne è la prova la moltitudine di argomentazioni (dalle giustificazioni padane agli appelli di Giorgio Napolitano) che, spesso inconsciamente, si appropriano di significati e di vessili aprioristicamente contraddittori (che comunque non significa non condivisibili, mi riferisco all'eminente Presidente della Repubblica).
Da qui la preoccupazione che mi ha spinto a scrivere ciò, ovvero il tentativo di trovare un significante alternativo che possa accogliere un significato univoco e certo.
Se mi calassi nella veste di figlio emigrato di genitori emigrati, che siano i siciliani di quarant'anni fa o i contemporanei ghanesi, probabilmente inizierei ad avvertire quello che comunemente si potrebbe scambiare per senso di appartenenza. Tuttavia, secondo le precedenti ipotesi sappiamo che non si può modellare l'appartenanza sui non "nativi". Ma perchè questo?
Qui sta il fulcro. Credo infatti che cambino le istanze di base:
- Coloro i quali nascono in una terra e lì vi rimangono difficilmente raggiungeranno un grado di consapevolezza oggettiva del proprio legame, in ragione dell'assenza dell'esperienza del distacco, esso stesso motore delle rivalutazioni dei giudizi sulla propria terra d'origine (la banalità dell'accorgersi del valore di un qualcunchè quando non si ha più a propria disposizione). L'appartenenza sarà pertanto basata più su fattori tradizionalistici e fortemente abitudinari
- I migranti invece tenderebbero a sviluppare un grado di giudizio e comparazione chiaramente più elevati, oltre a fondare la propria consapevolezza principalmente sul senso di riconoscenza conseguente all'accoglienza in terra "straniera"
Badate bene, uso il plurale perchè il senso di restituzione non si applica ad i migranti, bensì ad ogni elemento della comunità locale, investendo ugualmente cittadini autoctoni, cittadini migrati e non cittadini.
Da ciò il fatto che se oggi partissi ed andassi a Palermo, in prima battuta mi sentirei eticamente di dover amministrare il mio senso di restituzione, e non perdermi nella ricerca frustrante del senso di appartenenza di un siciliano.
In ultima analisi credo che l'affezione per la propria terra debba scaturire da fonti socio-educative generalmente costituite e non solamente inconsapevolmente da fattori culturali ed economici locali, collettivamente per forza di cose differenti.
Lieto della vostra attenzione apro qui un dibattito che spero venga accolto. Prego i filosofi di aiutarmi e correggere i refusi logico-formali.
Francesco Mancin
2 commenti:
Questo è un invito a nozze per il signor Moretti!!!
Complimenti di cuore Mancio, questa tua analisi è tanto bella quanto vera: è soprattutto grazie all'esperienza del distacco che ho capito quanto valga e quanto ami la terra in cui sono nato, e quanto sia importante maturare per sè E PER GLI ALTRI quel senso di restituzione di cui tu parli. Ancora una volta, al posto mio, riesci a dirmi quello che pensavo senza riuscire ad esprimere. Grazie
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