di Sara L.
Di ritorno dal lavoro spesso mi capita
di ripensare a quanto ho visto e ascoltato durante la giornata, in
barba a tutti i consigli (peraltro sensatissimi) in merito al “non
portarsi a casa il lavoro”. La storia che oggi mi risuona in testa
è simile a molte altre, è la concretizzazione di quella fattispecie
giuridica che nel nostro ordinamento è annoverata sotto il nome
“minore straniero non accompagnato”. Ormai lo so: quando faccio
il primo colloquio con un ragazzo in questa condizione vedo il suo
volto mutare d’espressione mano a mano che recepisce quello che gli
sto dicendo. Solitamente mi accoglie con un sorriso: io sono l’Italia
che lo vuole aiutare e che adesso gli spiegherà come fare per
trovare lavoro e casa. Speranze… speranze che ogni volta devo
distruggere, con l’accortezza di farlo nel modo più delicato
possibile.
Il momento clou del primo colloquio è
la spiegazione di cosa comporta per loro essere:
- Minore
- Straniero
- E non accompagnato, ovvero senza figure adulte di riferimento, in Italia.
Sostanzialmente, se quando arrivano in
Italia hanno meno di 15 anni hanno una speranza: con un buon percorso
comunitario, delicate pressioni sulla Questura, incrociando le dita
sul fatto che la legge o gli umori della politica non cambino nel
giro di quei pochi anni, possono sperare in un permesso di soggiorno anche dopo i
18 anni.
Se hanno più di 15 anni le speranze si
fanno molto sottili: accolti in comunità fino ai 18 anni, il giorno
dopo la maggiore età nella stragrande maggioranza dei casi il Paese
che fino al giorno prima li ha tutelati li getta irrimediabilmente
nella condizione di irregolari… pochi riescono ad ottenere un
permesso di soggiorno dopo il dicottesimo anno, e solo se nel frattempo hanno richiesto asilo o si è fatto
vivo un parente disposto a diventare loro tutore e a mantenerli…
ovviamente a seguito di un lavoro di mediazione con la Questura molto
difficile, tenendo conto che non è mai detta l'ultima parola, il vento potrebbe cambiare facilmente, così come l'umore del questore.
Anche il colloquio di ieri con Mohammed
(lo chiamerò così), in cui abbiamo parlato francese, dato che in
Italiano per ora sa solo salutare, ha attraversato queste fasi… e
la sua storia, come si diceva, è tristemente simile a molte altre…
Mohammed è arrivato in Italia a 17 anni e mezzo “mio papà in
Senegal ha perso il lavoro, non riusciva più a mantenerci tutti. Io
sono il più grande ed è toccato a me tentare di venire in Europa…
voglio continuare gli studi, diventare ingegnere… mi puoi
aiutare?”. Ed eccolo, il suo viso che cambia espressione mentre gli
spiego che, per quanto detto sopra, è difficilissimo che lui ottenga un permesso di soggiorno dopo i 18 anni, dati anche i tempi molto stretti per la maggiore età
incombente (2 luglio). E in questi colloqui, prima o poi, arriva la
domanda più difficile… “ma perché non mi danno il permesso? Io
voglio solo andare a scuola…”
“Vedi Mohammed, tanti italiani hanno
paura degli stranieri. Tanti italiani negli ultimi anni hanno votato
politici che hanno fatto leggi molto dure sugli stranieri. Bisogna
cercare di trovare un modo per aiutarti, rispettando la legge: può
accadere però che questo modo non si trovi.”
Ed è in quel momento, forse, che si
accorgono davvero di quello che sta succedendo, della famiglia
lasciata nel Paese d’origine tra mille speranze per trovarsi in una
situazione senza uscite… Mohammed e gli altri abbassano gli occhi…
e sperano, in qualche modo, di sopravvivere…
2 commenti:
Tanti italiani non vanno neanche a scuola, quasi: gli fa schifo, e spesso sono gli stessi che hanno paura degli stranieri. Coincidenze...
Testimonianza toccante la tua, Sara, molto simile a tante storie di adulti che incontro alla Scuola di Italiano della Ruah. Uomini e donne che, nonostante tutto, credono ancora nella vita e sono fiduciosi. Persone umili e molto miti. Dovremmo raccogliere queste storie, carissima Sara, e pubblicarle. Io sto già scrivendo....
Grazie
Giuditta
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